In quest’assurda estate all’insegna delle crisi, tanto da noi quanto in altri paesi chiave come la Gran Bretagna, le folle oceaniche che hanno sfilato in piazza a Hong Kong ci impartiscono una lezione civile da tenere bene a mente. Ci hanno, infatti, raccontato per anni che manifestare non serve a niente, che le proteste sono inutili, che il ricorso alla battaglia politica nella società fosse quasi eversivo ed ecco che gli ombrelli di questo piccolo lembo d’Asia dimostrano plasticamente il contrario.
Hanno detto no alla legge sull’estradizione, hanno combattuto per mesi con coraggio e determinazione, hanno sconfitto la protervia di Pechino e costretto il capo esecutivo Carrie Lam a fare marcia indietro. Non è una vittoria su tutta la linea: molte incognite restano e molti dubbi sono più che legittimi, al pari della rabbia e della frustrazione dei promotori della rivolta che, giustamente, parlano di una marcia indietro arrivata troppo tardi.
Fatto sta che Pechino, come nel nostro piccolo avevamo previsto, ha perso, per il semplice motivo che un esercito mercenario, per quanto potente e pervasivo, non può mai prevalere contro la volontà di un intero popolo. Persino le dittature, e questo lo sapevano bene i tiranni della prima metà del Novecento, hanno bisogno di un forte consenso popolare per poter agire indisturbate. Dalle parti del Dragone devono essersene dimenticati o, peggio ancora, devono essersi illusi che bastasse la potenza, la grandezza e la minaccia per avere la meglio su chi aveva dalla sua unicamente la forza delle idee, della passione e dell’impegno a salvaguardia del proprio futuro.
A Hong Kong ha perso la cattiveria, la presunzione, la malvagità e ha vinto il buonsenso. Guai, tuttavia, ad affrontare tematiche così complesse in modo manicheo, con semplificazioni dannose e riflessioni improprie. Non è stata la sfida del bene contro il male ma quella del senso di giustizia e della dignità umana all’oppressione immotivata e pericolosa di un esecutivo che aveva smarrito la bussola. E per una volta, grazie a Dio, quest’ultima non ha prevalso.
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