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La legge del mare. Il trionfo dell’inumanità

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Migranti, solo migranti. Al centro del dibattito degli ultimi anni è così che vengono descritti coloro che lasciano il proprio Paese e decidono di affrontare il mare con mezzi di fortuna per sfuggire guerre, carestie, violenze. Non gli si dà un volto, un nome, una provenienza. Vengono gestiti come masse informi, numeri, corpi, cui si associano statistiche, in un processo costante di deumanizzazione che nel tempo ha fatto in modo che buona parte dell’opinione pubblica li percepisse come ‘criminali’, ‘nemici da combattere’, ‘invasori’ e non più persone.

E’ impressionante come nel breve spazio di poche stagioni i soccorritori e le organizzazioni non governative da ‘angeli del mare’ si siano trasformati in ‘taxi del mare’, come sia stata messa in dubbio la loro missione, favoleggiando di improbabili accordi tra loro e gli scafisti.

E’ impressionante come da “Mare Nostrum” ormai il dibattito si sia ridotto ad una comunicazione a colpi di tweet contrassegnati dall’hashtag #portichiusi, e cioè, in buona sostanza, la decisione, “inumana”, di non soccorrere neanche i bisognosi in balia delle onde, contravvenendo, in tal modo, anche alla “legge del mare”, sancita, tra l’altro, da diversi accordi internazionali ratificati dall’Italia (tra queste: la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 e la Convenzione sulla ricerca ed il soccorso in mare del 1979, recentemente emendate proprio con riferimento ai migranti) che impone a chiunque sia in grado di farlo di aiutare chi è in difficoltà.

Ma come e perché è stato possibile tutto questo? Come ben ricostruisce Annalisa Camilli – giornalista di Internazionale – ne “La Legge del Mare. Cronache dei Soccorsi nel Mediterraneo”, edito da Rizzoli (2019), nello spazio di pochissimi anni si è consumato un ribaltamento semantico del “salvataggio in mare”, inteso non più come atto umanitario vincolante per la coscienza di ognuno, bensì come strumento di lotta politica, offerto in pasto all’opinione pubblica e all’elettorato, il cui epilogo si è avuto con la recente approvazione del  decreto sicurezza bis (meglio noto come decreto Salvini).

Infatti, con il riemergere di populismi e sovranismi, il mare è diventato un territorio di contesa nel quale sono state ribaltate anche le leggi più basilari.

Il Mediterraneo si è così trasformato in un campo di battaglia – in cui tutto rimane sospeso tra la vita e la morte – tra annegati (10, 20, 100 etc…) e salvati, coloro che intervengono richiamati della “legge del mare”, le ONG, che hanno assunto le vesti di criminali e pertanto assoggettati ad indagini e sequestro delle imbarcazioni – e i ‘salvati’ quelli di ‘invasori’ cui vietare lo sbarco. Si è così assistito al sequestro delle navi di alcune Ong fino al caso Diciotti, in una escalation di delirio di onnipotenza allarmante.

Eppure, racconta la Camilli – “a bordo della Open Arms, una delle ultime navi di soccorso nel Mediterraneo, ho capito nel luglio 2018 cosa significa impedire l’attracco alle navi delle organizzazioni umanitarie con il loro carico di persone… Ho assistito al ritrovamento di un gommone sgonfio a 80 miglia dalle coste libiche. Una sola superstite e due cadaveri, tra cui quello di un bambino”. Ne ‘La Legge del mare’ emergono così le testimonianze di Josefa, la donna camerunense, l’unica superstite, salvata dalla Open Arms nel luglio 2018 o quelle di Giona e sua moglie Quisanet, del loro viaggio infinito verso l’Europa, terminato con l’approdo sulla Diciotti dopo esser stati venduti e imprigionati in condizioni di detenzione inimmaginabili. Ci sono le testimonianze di chi ha lasciato tutto per salire sulle navi delle Ong e prestare soccorso, per lo più volontario, alle vittime del mare e c’è la parte di storia che si è scelto di non raccontare. Portandoci a bordo delle navi dei soccorritori, la Camilli ci fa comprendere che su quelle navi l’unico obiettivo è salvare la vita di chi rischia di sparire tra le onde.

Del resto in mare “non ci sono cittadini o stranieri, ma solo naviganti e naufraghi”.


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