Sono tornati in piazza i coraggiosi abitanti di Hong Kong, sfidando i divieti, gli idranti della polizia, le minacce di Pechino e un clima che in questa città affamata di futuro è diventato, oggettivamente, irrespirabile.
Sono tornati in piazza animati dalla fiducia nei propri mezzi e nel prossimo, da un ideale di libertà, da un senso di giustizia che noi occidentali facciamo ormai fatica persino a comprendere.
Sono tornati in piazza per difendere le proprie e idee e i propri valori da una concezione autoritaria e oppressiva del potere, per gridare una rabbia che non sfocia mai nell’odio; una rabbia costruttiva e alla quale il governo cinese dovrebbe prestare ascolto, se non altro nel proprio interesse.
Sono tornati in piazza a testimoniare un incredibile desiderio di battersi in nome della democrazia, di non lasciare nulla di intentato, di non arrendersi a misure che ritengono, a ragione, ingiuste e pericolose, di non fermarsi di fronte a un avversario indubbiamente più potente ma senz’altro meno motivato.
Sono tornati in piazza, giovani, donne, un popolo composito e variopinto, proveniente da vari ceti sociali e desideroso di ribadire il proprio rifiuto nei confronti di ogni forma di repressione: da quelle fisiche a quelle immateriali, non per questo meno feroci.
Sono tornati in piazza e noi li osserviamo, li monitoriamo, ne raccontiamo la battaglia e le sofferenze, l’ardore e la resistenza, la tenacia e la forza d’animo, guardando quei volti di ragazzi con una certa, comprensibile invidia, soprattutto se poi torniamo a dare un’occhiata alle nostre avvizzite società dove la rabbia sfocia spesso nell’insulto, nella resa o, peggio ancora, nella violenza cieca dei gilet gialli sulle strade del centro di Parigi.
Guardiamo a Hong Kong come mezzo secolo fa guardavamo all’università di Berkeley o agli universitari della Sorbona, come abbiamo guardato alla Swinging London e anche ad alcune vicende eroiche di casa nostra, simbolo di una generazione e di un mondo che ancora credeva in qualcosa.
Abbiamo scritto in più occasioni che ogni generazione ha conosciuto le sue rivolte ma che, di questi tempi, se rivolta sarà, si verificherà in Africa o in Asia, in quei paesi che hanno la rabbia giusta e una gioventù morale e fisica per ribellarsi con profitto. Il Sessantotto ha cambiato latitudine ma non ha smarrito il suo incanto, la sua bellezza, la sua visione dirompente e in grado di riempirci il cuore di gioia e di passione civile.
Hong Kong continua a lottare e noi ad ammirarla, sostenendo con fiducia e speranza la sua sfida ai nuovi padroni che, con ogni evidenza, non sono migliori dei precedenti.
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