Non si fermano le proteste che da mesi stanno travolgendo Hong Kong. Non si ferma la rabbia dei manifestanti nei confronti della legge sull’estradizione, del potere fasullo di Carrie Lam e della prepotenza di Pechino. Non si ferma, soprattutto alla vigilia di un anniversario importante come la nascita della Repubblica Popolare cinese, apoteosi del maoismo dopo la Lunga marcia e tutto ciò che ne conseguì e mentre il mondo andava riconfigurandosi alla luce della Guerra fredda. La preoccupazione che i disordini di queste ore possano degenerare in forme di lotta violente e che da queste possano derivare nuove restrizioni, vessazioni e azioni di forza da parte di un regime illiberale come quello cinese, al netto di tutti i tentativi di riverniciarsi e presentarsi al mondo come cultore della società aperta, è dunque altissima.
Non è semplice, tuttavia, comprendere la furia di Hong Kong se non se ne conosce la storia, se non si ha idea di quanto Pechino stia tentando di inglobare una realtà che altrimenti sa di non poter controllare e che ritiene, invece, essenziale per lanciare la sua Opa sulla regione. Mai come in questo caso, infatti, la questione sociale, la questione economica, la questione democratica, la questione ambientale e la questione geo-politica si intrecciano e combaciano alla perfezione, al punto che le vicende asiatiche potrebbero condizionare non solo le sorti dell’Oriente ma anche dirimenti battaglie occidentali come il futuro del Regno Unito e, più che mai, le elezioni americane.
In base alla posizione dei vari sfidanti democratici e alle volubili opinioni di Donald Trump, capiremo difatti quale sia l’effettivo potere cinese e quali siano le armi in mano ai dimostranti, se sia pensabile una maggiore autonomia di Hong Kong o se il tallone maodenghista si abbatterà definitivamente sui sogni di un popolo in rivolta. Analizzando la questione in senso opposto, è evidente che una Cina arrembante e dotata di una volontà di potenza senza precedenti costituisca un rischio enorme per un’America declinante e in guerra con se stessa, dunque fragile, spaventata e del tutto incapace di compiere analisi complessivamente razionali, in particolare sul fronte repubblicano oggi al governo. E quanto influirà questa sfida al sistema sulla vecchia Europa che segue, apparentemente distratta e da lontano, la protesta degli ombrelli? Cosa ne sarà del nostro modello di democrazia, a forte rischio di cinesizzazione, se dovessero essere sconfitte le istanze di libertà di chi, pur avendo pochissimi mezzi a disposizione, non si arrende alla protervia di un impero alla riscossa? E chi ci dà garanzie in merito all’incolumità dei promotori e dei leader della ribellione che da mesi sta tenendo sotto scacco il Dragone? In queste domande è racchiuso il senso stesso del vivere civile nonché, si parva licet, il nostro domani.
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