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Il rapporto tra Falcone e Buscetta nei racconti di Antonino Caponnetto

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Buscetta non fu un “eroe” ma non fu neanche un “traditore”. Tra le tante cose di cui parlai con Antonino Caponnetto durante la sua permanenza in Molise, vi fu anche la figura del pentito Tommaso Buscetta e il rapporto che con lui ebbe Giovanni Falcone. A onore di verità, mi disse Caponnetto, Falcone riteneva che Buscetta non si pentì mai, sebbene le sue confessioni fossero “oro colato” e che grazie alle sue dichiarazioni riuscì a decifrare i codici di mafia fino a quel momento ignoti a tutti gli investigatori. Falcone riteneva che il primo vero pentito di mafia fosse stato un certo Leonardo Vitale che nel lontano 1973 con gran coraggio denunciò alla polizia Totò Riina, Bernando Provenzano, Michele Greco e Vito Ciancimino.

Tommaso Buscetta, invece, non si pentì rispetto ai crimini commessi, piuttosto prese le distanze dall’organizzazione mafiosa di cui faceva parte e di cui non riconosceva più il modus operandi. Prese le distanze da quello che la mafia era diventata con i “Corleonesi di Riina”, non dalla mafia di cui lui aveva fatto parte. Falcone lo “apprezzava” poiché la guerra tra fazioni mafiose e la vendetta trasversale attuata dai Corleonesi gli colpì un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti. Anche due dei suoi otto figli, inoltre, furono vittime della cosiddetta “lupara bianca”, cioè sparirono per non venire mai più ritrovati. “Non sono un infame. Non sono un pentito. Sono stato mafioso e mi sono macchiato di delitti per i quali sono pronto a pagare il mio debito con la giustizia”.

Questo disse a Falcone quando s’incontrarono. Quando arrivai io – mi raccontò Caponnetto – scelsi i magistrati con la maggiore esperienza maturata in campo di processi alla mafia per metterla al servizio della lotta alla criminalità organizzata e spianai la strada a Giovanni Falcone che stimavo e apprezzavo per il suo valore e la sua dedizione al lavoro di squadra. Secondo Caponnetto, Buscetta scelse la strada della collaborazione perché vedeva in Falcone un confessore, un uomo che ispirava fermezza e autorità, un uomo che meritò e conquistò il rispetto del “pentito-non-pentito” Buscetta. Nel 1984 il giudice Falcone volò in Brasile per l’estradizione in Italia di un criminale e ne tornò con un collaboratore di giustizia eccellente. Le prime parole che si scambiarono Falcone e Buscetta da “collaboratori” furono queste, dirette dal pentito al giudice: “L’avverto, signor giudice. Dopo quest’interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. E’ sempre del parere di interrogarmi?”.

Falcone non ebbe paura, non esitò un solo attimo, andò avanti, capì e rimase fermo nel suo proposito di interrogare Buscetta. Ascoltò per mesi le sue confessioni senza che nulla si sapesse all’esterno, questo era il patto di fiducia stretto con “don Masino” spesso, lo chiamava così. Falcone pose le basi per la più proficua e onesta collaborazione mai avvenuta tra Stato e criminalità organizzata, sempre nel rispetto dei ruoli e rimarcando sempre che prima di Buscetta si aveva una visione superficiale della mafia. Dopo di lui la mafia ebbe dei nomi, dei volti, delle gerarchie, delle famiglie, dei capi mandamento, dei capi famiglia, dei giuramenti, delle regole, dei simboli, dei codici. La mafia, in Sicilia, aveva un nome, quel nome era “Cosa Nostra”. Falcone disse di Buscetta che fu come un professore che gli insegnava una lingua straniera permettendogli di comunicare con le parole e non più con i gesti. Dopo la morte di Falcone, Buscetta lo ricordò così: “Era il mio faro, ci capivamo senza parlare. Era intuito, intelligenza, onestà e voglia di lavorare. Io godevo a parlare con lui”. Buscetta aveva piena fiducia in Giovanni Falcone non si fidava di nessun altro perché era convinto che lo Stato italiano non avesse veramente l’intenzione di combattere la mafia. Oggi a quanto pare le cose non sembrano cambiate di molto rispetto al passato.

(Vincenzo Musacchio, Presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise)


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