Il mondo di Greta

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Ci perdonino opinionisti e commentatori che hanno dato un giusto risalto all’irrisione rivoltale da Trump, cui peraltro lei ha saputo rispondere con la dovuta ironia, mettendo in ridicolo l’uomo immeritatamente più potente del mondo. Ci perdonino, perché a noi di Greta Thunberg interessa unicamente la “pars construens”, la sua narrazione positiva, i valori e gli ideali che attraverso la sua battaglia è stata in grado di mettere in moto in tutto il pianeta.
Greta è, infatti, il simbolo di una generazione in rivolta. E non è un caso che sia stata una ragazzina di sedici anni a risvegliare le coscienze globali, essendo lo specchio iconico di una generazione sfruttata, privata di ogni dignità e di ogni diritto, compreso quello a esistere che, se vogliamo, è il più importante di tutti.

Non è un caso che questa battaglia ambientalista, che era sacrosanta anche prima e di cui per troppo tempo abbiamo scelto di non occuparci, sia diventata un cardine del dibattito politico globale. Non è un caso che il tema ambientale e le riflessioni sul capitalismo, dopo il passaggio di quest’attivista svedese, si siano connesse fino a diventare indissolubili. Non è un caso che, quando l’Amazzonia ha cominciato a bruciare, non i soliti verdi ma buona parte della comunità economica abbia iniziato a interrogarsi sul ruolo del capitalismo, sulla sua visione aberrante, sul concetto di sfruttamento, paesaggistico e umano, spesso entrambi, a esso connaturato e sulla follia di una crescita e di uno sviluppismo senza regole di cui già Robert Kennedy, nel 1968, aveva gridato al mondo la follia.

Là dove non è riuscito nemmeno papa Francesco, il cui contributo è stato comunque essenziale per far uscire il discorso dal mero ambito convegnistico, è riuscita l’unica che ha saputo riscoprire fino in fondo il valore dell’anima. Perché è questo ciò che si è perso in quest’Occidente senza passioni e senza utopie: l’anima, il senso dello stare insieme, del camminare insieme, del sentirsi parte di una comunità. L’anima, indispensabile prsino nelle discussioni tecniche, persino quando si ha a che fare con i numeri, quando bisogna ragionare per cifre e delineare i parametri economici delle singole questioni. Poi arriva un ghiacciaio sul Monte Bianco che rischia di sciogliersi e precipitare ed ecco che ogni discorso arido viene ricondotto alla sua pochezza, alla sua inadeguatezza, alla sua incapacità di connettersi con le masse e di guidarle verso un’altra idea di mondo.
Ci perdonino i complottisti e coloro che parlano sempre a sproposito di retorica, imbevuti come sono della retorica del PIL  e di una visione della crescita che non è crescita ma regresso, ma a noi di questa ragazzina commuove soprattutto il seguito, il fatto che milioni di giovani abbiano avvertito, dall’Europa all’Africa, il bisogno di seguirla, la globalità dello sguardo, la potenza dell’eloquio e persino le lacrime. E no, non erano studiate: erano forti proprio perché sincere, al pari del suo messaggio e della sferza che ha saputo dare l’altro giorno parlando alle Nazioni Unite e costringendo i potenti della Terra ad ascoltare una voce fuori dal coro in tutta la sua intensità.
Forse perderà anche lei, forse verrà travolta dalla popolarità acquisita e relegata nell’oblio in cui spesso chi detiene ricchezze immani riesce a confinare chi ha ragione, forse persino questo movimento si attenuerà fino a smarrire la sua potenza originaria. Ma se anche questo venerdì milioni di ragazzi hanno deciso di non andare a scuola e di sfilare nelle strade e nelle piazze di tutto il pianeta è proprio per quel forse, come i migranti che sfidano il mare a bordo di gusci di noce, sapendo che forse potrebbero non farcela. Perché non provarci nemmeno sarebbe, questo sì, un crimine imperdonabile.

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