Uomo-cerva, un’inquietante entità tra il bestiale e il divino (il torso muscoloso virile è sormontato da un cervide blu, rievocazione della Cerva Sacra del mito) regge le sorti di un esercito in fase di stallo, bloccato nel porto senza vento dalla mano di Artemide irata: si tratta dell’unica audacia registica in una rappresentazione che trova nella linea pulita del dettato (nella nuova traduzione in greco moderno di Pandelis Bukalas) e nell’aderenza al testo originale euripideo il suo maggiore punto di forza. La produzione del Teatro Nazionale della Grecia del Nord per la regia di Yannis Calabrianos e che ha già compiuto un ampio tour estivo con tappe significative in tutta la Grecia – dal festival di Epidauro fino a Cipro – approda ora nel contesto parchistico del Teatro Giardino di Papagu alla periferia di Atene.
Nero su nero, paltò sull’abito scuro, il costume di Agamennone (Yorgos Glastras) non lo fa spiccare per regalità rispetto a tutti gli altri agonisti, al contrario sembra quasi tentare di confonderlo nella folla di Argivi, per farlo sfuggire alle responsabilità che pure tremendamente lo incalzano e lo pretendono: come re e come padre. Ma il padre in lui si nasconde, ciò che affiora è solo una fredda mente che, sbrigativa, quasi temendo di riflettere, decide le sorti. Sarà Menelao invece a scuotere in lui il senso di paternità, lasciandolo sfogare nel suo dilemma, anche se invano; la decisione ormai è presa. Più articolato del consueto, il coro si scompone e ricompone, giocando in alternanza i toni femminili della grazia, del dolore e della compassione, che viaggiano lungo le ghirlande di fiori bianchi disposte in vario modo, unico vezzo a interrompere la monotonia del nero. Particolarmente suggestive le parti affidate al canto individuale di alcuni elementi: interpretazioni differenti di un pensiero unico, di un “buon senso” inutilmente lanciato e rimbalzato dal muro emotivo della fredda ragion di Stato. Achille, giovane combattivo, sferra i propri colpi psicologici in una schermaglia verbale con Clitemnestra, forte personalità, cui ha dato voce la carica interpretativa di Maria Cimà. Ifigenia (insignita, ricordiamo, dell’11° premio “Melina Mercuri”) si assimila alle altre coreute nel lungo abito castigato, espressivo di un lutto presentito e forse quasi pre-vissuto, tuttavia se ne discosta decisamente per la mobilità dei gesti e per la psicologia variegata, così ben descritta da Euripide nella sua gamma di sentimenti, dalla paura al coraggio eroico dell’offerta di sé. Come per scrivere nero su bianco sulla scena la sua richiesta di pietà, la nera sagoma di lei si flette a formare i caratteri stilistici della propria supplica: ora abbracciando il rigido padre, ora incurvandosi in atto di preghiera, ora facendo tutt’uno con le amiche del coro, che, a tratti (per un sapiente disegno di luci) si riflettono come ombre sullo sfondo di parassitaria verde (assai indovinato lo stacco totale delle luci al momento dell’addio al sole della ragazza, che lascia parlare la Luna in una notte alla vigilia del plenilunio). La scenografia si affida a un elemento centrale di fondo: un palazzo, forse immagine della reggia in Argo, completamente rivestito dal rampicante, che suona allusivo, macabramente ironico, nell’ultima battuta del dramma, quando si augura ad Agamennone una buona spedizione e un ritorno a casa ricco di vittoria e di bottino. Proprio come se fosse soffocato dal rampicante, rivela la sua fragilità, al pari del signore, che, deficitario come padre e marito, anche come capo risulta in definitiva poco umano e poco rispettabile. Complice, una rappresentazione che pone l’accento sulla dimensione umana dei caratteri e lascia in ombra, quasi nelle nebbie di un mito irreale, il campo di battaglia, le ragioni del combattere, le navi pronte a salpare.
Traduzione: Pandelis Bukalas; Regia: Ghiannis Calavrianos; Scene-Costumi: Alexandra Busulenca, Rania Ifandidhou; Musiche, Coro, Suono: Thodhoris Iconomu; Movimento: Dhimitris Sotiriu; Luci: Nicos Vlasopulos. Con: Yorgos Glastras (Agamennone), Anthi Evstratiadu (Ifigenia), Ghiorgos Caucas (Vecchio), Nicolas Marancopulos (Menelao), Thanasis Raftopulos (Achille), Christos Stilianu (Messaggero), Maria Cimà (Clitemnestra). Coro: Momò Vlachu, Stellina Voghiagì, Despina Yannopulu, Ioanna Demergidu, Danai Epithimiadi, Eghli Cacichi, Lida Cutsodhascalu, Maria Constandà, Alexia Bezichi, Zoì Milonà, Marianthi Pantelopulu, Caterina Papadhachi, Revecca Cilincaridhu. Strumentista in scena: Dhimitris Chudìs.