Beppe Grillo interviene sempre quando la nave dei cinquestelle rischia di incagliarsi. Questa volta ha rischiato di affondare perfino prima di giungere in vista del governo M5S-Pd. Il comico genovese ha tagliato tutte le residue nostalgie per il governo con la Lega, silurato da Matteo Salvini. Ha insistito per la nuova, singolare rotta verso Nicola Zingaretti in un video pubblicato il 31 agosto sul suo blog: «Non ci accorgiamo del momento storico…C’è da riprogettare il futuro». È stato un colpo ai tanti cinquestelle ostili all’intesa con il Pd e favorevoli alle elezioni politiche anticipate. La votazione online del 3 settembre sulla piattaforma Rousseau ha dato ragione al garante del M5S. Il 79,3% degli iscritti cinquestelle ha approvato il governo con i democratici guidato da Giuseppe Conte: 63.146 i voti a favore, 16.488 i contrari.
È un colpo per i dissidente e anche per Luigi Di Maio, un tempo il pupillo di Grillo, già impegnato con Zingaretti nella richiesta, poi rientrata, di restare vice premier e nello spericolato rilancio dei “20 punti” programmatici. Il fondatore del M5S è andato giù duro ironizzando: occorre parlare di cose serie invece «ci abbruttiamo a parlare di scalette, di controscalette…Il posto lo do io a chi…i 10 punti, i 20 punti…».
La sortita ha spiazzato e ridimensionato Di Maio. Il traballante capo politico del M5S, indebolito dalla disfatta delle elezioni europee di maggio, aveva alzato il tiro con Zingaretti. Sul piatto aveva messo 20 punti programmatici per il governo M5S-Pd minacciando di far saltare tutto: «Se verranno accolti bene, altrimenti meglio andare al voto». Adesso, invece, ha commentato positivamente il voto favorevole degli iscritti al Conte bis rammentando i contrasti: «Con Beppe abbiamo avuto una differenza di vedute sui 20 punti…Ci vogliamo bene, continuiamo a volerci bene». Certo il governo giallo-rosso è un brutto rospo non solo per i democratici ma anche per i grillini. M5S e Pd si sono scambiati sanguinose offese per anni. Lo stesso Grillo ha sempre bersagliato il Partito democratico coprendo d’insulti Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi.
Per dieci anni il match è stato tra i populisti cinquestelle e i riformisti democratici, tra gli euroscettici e gli europeisti, tra i sostenitori della democrazia della Rete e i fautori del Parlamento. Il Pd è stato il nemico numero uno dei pentastellati, il partito emblema della Casta, della classe dirigente italiana ed europea da abbattere.
Far passare il dietrofront non è stato facile per Grillo. Non è facile passare da un governo grillo-leghista a un esecutivo grillo-democratico, il suo esatto opposto. Il garante pentastellato ha imposto la scelta ma gli ostacoli da superare sono ancora tanti. Larga parte degli elettori dei due partiti è nettamente ostile al grande abbraccio, forse mortale per entrambi. Una brutta sorpresa potrebbe arrivare anche dal voto di fiducia sul Conte bis al Senato: i senatori dissidenti pentastellati potrebbero bocciare l’esecutivo giallo-rosso assieme all’opposizione di centro-destra. Tuttavia i parlamentari hanno compiuto appena un anno di mandato e molti temono di non essere ricandidati nelle elezioni. Lo spirito di conservazione gioca a favore del governo M5S-Pd nonostante le tante contraddizioni.