Dopo una lunga, meditata – ed è da credere tormentata – riflessione, la Corte Costituzionale si è espressa su quello che generalmente viene definito caso Dj Fabo-Cappato.
Una sentenza definita “storica”; non c’è dubbio che lo sia. La Corte ha agito con scienza e coscienza, bilanciando e conciliando le ragioni del diritto e dell’umanità, della misericordia. Ed è quello che sempre dovrebbe fare un legislatore.
Resta dell’amaro in bocca; non per le ragioni addotte dei settori oltranzisti del mondo cattolico, alfieri di una intolleranza e di un dogmatismo terrificante, che non concepisce altro che draconiani divieti.
La sentenza, in estrema sintesi stabilisce che non è sempre punibile chi aiuta al suicidio; che ci possono essere casi estremi come quello di Dj Fabo, imprigionato, dopo un incidente, in un corpo-prigione, completamente cieco, preda di intollerabili e insanabili dolori e tormenti. Non è punibile chi, a determinate condizioni “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Puro buon senso, che si accompagna a senso buono.
La Corte Costituzionale doveva stabilire se fosse reato, come prevede l’articolo 580 del codice penale, aiutare a morire una persona malata che non ritiene più sopportabile e dignitoso vivere. Già l’anno scorso la Consulta aveva evidenziato l’incostituzionalità della norma che parifica l’istigazione al suicidio con l’aiuto. La Corte ha chiesto al Parlamento di legiferare, dando tempo fino al 24 settembre, e stabilito alcuni punti fondamentali che sono poi stati alla base della decisione: condizioni specifiche che rendono “ingiusta e irragionevole” la punizione per chi aiuta a morire: il malato deve essere terminale, in grado di decidere pienamente, afflitto da una patologia che gli provoca sofferenze fisiche e psichiche per lui assolutamente intollerabili.
Detto questo, come più volte evidenziato proprio in questo giornale, la questione, che appare complessa, è invece piuttosto semplice. Si deve partire dall’articolo 32 della Costituzione (un articolo, si badi, su cui molto ha riflettuto e lavorato un costituente che si chiamava Aldo Moro): “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Ecco: quel “nessuno può essere obbligato…”, perentoriamente nega l’accanimento terapeutico non desiderato, non voluto.
Ora è opportuno ricordare il caso di Marina Ripa di Meana: persona che senza alcun dubbio ha intensamente, fortemente, amato la vita. Eppure questa donna, a un certo punto non riesce più a tollerare le atrocità fisiche che il tumore le infligge, chiede solo di morire in pace; chiede di andare anche lei in qualche clinica svizzera, per un “sollievo” definitivo. Non sapeva che poteva evitare quel viaggio.
Il testo che segue, affidato a Maria Antonietta Farina Coscioni, è illuminante: “…le mie condizioni di salute sono precipitate. Il respiro, la parola, il mangiare, alzarmi: tutto, ormai, mi è difficile, mi procura dolore insopportabile: il tumore ormai si è impossessato del mio corpo. Ma non della mia mente, della mia coscienza… Ho chiamato Maria Antonietta Farina Coscioni, persona di cui mi fido e stimo per la sua storia personale, per comunicarle che il momento della fine è davvero giunto. Le ho chiesto di parlarle, lei è venuta. Le ho manifestato l’idea del suicidio assistito in Svizzera. Lei mi ha detto che potevo percorrere la via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda. Io che ho viaggiato con la mente e con il corpo per tutta la mia vita, non sapevo, non conoscevo questa via. Ora so che non devo andare in Svizzera. Vorrei dirlo a quanti pensano che per liberarsi per sempre dal male si sia costretti ad andare in Svizzera, come io credevo di dover fare”.
Il passaggio chiave del testo: è questo: “Non sapevo, non conoscevo questa via… che si può percorrere la via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda”.
In breve: anche a casa propria, o in un ospedale, con un tumore, una persona deve sapere che può scegliere di tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze: “Fallo sapere, fatelo sapere”, l’estremo appello. Un richiamo perché si faccia sapere, conoscere. Quanti sono i sofferenti giunti allo stremo che ignorano che è consentita, possibile, un’alternativa “dolce” al suicidio violento o al viaggio senza ritorno in Svizzera? Scarse e scarne le informazioni, nessuna campagna per garantire adeguata conoscenza; i mezzi di comunicazione sono assenti, rinunciano a svolgere il ruolo di informazione che dovrebbe essere elemento costitutivo della loro esistenza.
Dj Fabo poteva anche lui seguire questa strada. Ha preferito, assieme a Cappato, sollevare mediaticamente il caso. Nulla da eccepire. Ma il problema vero è che anche ora si può mettere la parola fine a queste tragedie senza calpestare la dignità del malato, senza farlo soffrire e umiliare senza scopo, rispettandone le volontà; e spesso si ignora che si è già titolari di questo diritto.
L’amaro in bocca è dato dal fatto che – questione di principio, ma non solo di principio – ancora una volta, la classe politica, tutta, si è mostrata pavida, vigliacca, indifferente, crudele. Non ha saputo, e non ha voluto neppure dibattere la questione, discuterla, avviare un confronto. La vita e la morte, la qualità della vita, la sua dignità e la dignità del morire sono questioni che prima o poi riguardano tutti; possiamo discutere e chiederci se e fino a che punto questioni così delicate possono e devono essere codificate e come; se sia più opportuno affidarsi al buon senso e alla misericordia di un’equipe medica che assiste e informa il paziente… Tutto si può e si deve discutere, ma certo è inaccettabile, intollerabile, l’indifferenza, l’ignavia.
Invece è quello che, ancora una volta, è accaduto. Salvo poi lamentarsi per le “invasioni” di campo, le ingerenze, le “supplenze” della magistratura e di “entità” che riempiono gli spazi vuoti lasciati da chi istituzionalmente ha il dovere di colmarli. La “politica”, insomma, ha abdicato ai suoi compiti, alle sue funzioni. Una classe politica che si rivela inadeguata, pavida, vigliacca, indifferente; è qualcosa di avvilente e sconcertante. C’è anche questo, con la “storica” sentenza della Corte Costituzionale.