La paura nei cinquestelle è fortissima. Niente alleanza M5S-Pd nelle elezioni regionali. L’intesa resterà limitata al governo nazionale. Zingaretti, dopo il primo passo di Franceschini, ha mosso l’avance: «Perché non provare anche nelle regioni ad aprire un processo per rinnovare e cambiare?». Fonti pentastellate hanno immediatamente bocciato la proposta del segretario democratico: «Il tema delle alleanze alle regionali non è all’ordine del giorno».
Così niente da fare, Zingaretti nel voto del 27 ottobre non potrà contare sui grillini per difendere l’Umbria dall’assalto del centro-destra. Dovrà fare appello all’unità del suo partito e all’aiuto dei tradizionali alleati di centro-sinistra per tentare di conservare la regione patria di San Francesco. L’Umbria, una delle tradizionali regioni rosse, potrebbe essere conquistata dal tridente Salvini-Berlusconi-Meloni. L’impensabile potrebbe accadere non solo perché il Pd è in caduta libera dopo le disfatte elettorali di Renzi ma anche perché c’è da fare i conti con la giustizia. In Umbria lo scandalo della sanità ha investito il Partito democratico con una pesante inchiesta giudiziaria.
Il centro-destra nell’ultimo anno ha già iniziato a fare cappotto: ha sottratto al Pd la guida di Abruzzo, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Sardegna e Trentino. Adesso per Zingaretti non sarebbe un bel bigliettino da visita perdere l’Umbria, in un voto immediatamente successivo all’accordo di settembre sul governo Conte due. E non finirà qui. Tra novembre e gennaio si voterà anche per eleggere le nuove giunte regionali dell’Emilia Romagna e della Calabria. Seguiranno le elezioni in Toscana (patria di Renzi, altra antica roccaforte rossa), Campania, Veneto e Liguria. Ma è l’Emilia Romagna, ancora più dell’Umbria e la Toscana, la regione rossa per antonomasia, è il simbolo del potere del Pci-Pds-Ds-Pd in quasi 80 anni di storia politica italiana.
L’Umbria è un test elettorale importantissimo per Zingaretti. Ma, per opposti motivi, lo è anche per Di Maio. Il capo politico pentastellato già è in una posizione debolissima dopo la disfatta patita nelle elezioni europee e per l’acrobatico passaggio dal governo con la Lega a quello con il Pd. È molto complicato restare al governo, passando dall’alleanza con Salvini populista a Zingaretti riformista. Solo il fermo intervento di Beppe Grillo in favore dell’esecutivo giallo-rosso ha permesso di far rientrare i fortissimi dissensi interni sull’alleanza (da Casaleggio a Di battista allo stesso Di Maio). Certo la paura delle elezioni politiche anticipate, reclamate da Salvini, alla fine ha fatto pendere la bilancia in favore dell’accordo tra grillini e democratici, i due storici nemici.
L’alleanza con il Pd è vista come la peste da gran parte dei militanti e degli elettori grillini, abituati a considerare i democratici il partito delle élite, della Casta. Di Maio teme di restare schiacciato in una trappola mortale. Già nel governo grillo-leghista ebbe paura dell’omicidio del M5S a causa dell’egemonia di Salvini, un timore rivelatosi giusto quando i pentastellati dimezzarono i loro voti alle europee a vantaggio del Carroccio. L’esecutivo con la Lega fu un bacio della morte. Adesso il bacio della morte potrebbe arrivare dal Pd, dall’accordo di governo con i tradizionali nemici. Di qui il no a una alleanza estesa anche alle regioni.