Una cultura sbagliata che i giornalisti in questo caso hanno contribuito a coltivare, invece che a combattere. Una mancanza di rispetto verso la vittima, una donna che scompare nelle ricostruzioni dei giornali, preoccupati solo di descrivere l’uomo, il carnefice, e di spiegarne le motivazioni fornendogli, magari senza volerlo, pubbliche giustificazioni.
Come hanno scritto la Commissione Pari Opportunità della Fnsi e altri organismi legati alla categoria, non è possibile continuare a usare le parole in questo modo. Occorre che colleghe e colleghi (ma i pezzi sul delitto Pomarelli sono firmati per lo più da uomini) utilizzino parole diverse, rispettose delle vittime di femminicidio e tengano in considerazione le regole del Manifesto di Venezia, che punta a una informazione corretta nei casi di violenza di genere. Il Manifesto, che la Fnsi sta cercando di promuovere anche in Europa, è stato sottoscritto da centinaia di giornaliste e giornalisti italiani, ma resta ancora largamente inapplicato.
Ci vuole un impegno da parte di tutti coloro che fanno informazione per promuovere una cultura diversa, che protegga i più deboli, restituisca dignità alle vittime e rispetti le donne. La divulgazione corretta è un passo fondamentale per arrivare un giorno a cancellare la violenza di genere.