Le votazioni con cui il Parlamento ha dato fiducia al secondo Governo Conte ha posto definitivamente alle nostre spalle la crisi di governo più strana della storia repubblicana. Tuttavia può essere utile tornarci su per trarne qualche possibile insegnamento.
Cominciamo dal linguaggio. A occhio o, più appropriatamente, a orecchio, le parole che mi sono sembrate le più ripetute sono state due: Italiani e poltrone. La prima è stata usata nello stesso senso e finalità indistintamente da tutti. Chiunque avendo una sia pur minima e marginale parte nella crisi prendesse la parola assicurava e riassicurava che la sua massima preoccupazione era di fare gli interessi degli Italiani. Assicurazione di cui non ci sarebbe dovuto essere alcun bisogno perché di cos’altro dovrebbe occuparsi chi fa politica?. Poiché, come ben sapevano gli antichi, excusatio non petita accusatio manifesta, la continua ripetizione di questa assicurazione a mo’ di giaculatoria ha portato a pensare che fare gli interessi degli Italiani non dovesse essere per “chi fa politica” cosa banalmente normale e dovesse esserci qualcuno, in silenzio e nell’ombra, che volesse farsi gli affaracci propri.
L’uso del termine poltrone, è stato invece differenziato. Chi si stava occupando della formazione di un governo nuovo e di svolta assicurava che di poltrone non se ne stesse parlando, ma si discutesse solo di programmi. nell’interesse appunto degli Italiani. Chi voleva il ritorno alle urne accusava i primi di star parlando – ed anzi litigando – solo di poltrone e di come spartirsele, in barba, ovviamente, agli interessi degli Italiani.
In questo clima di accuse e contraccuse, nei giorni che hanno immediatamente preceduto la risalita al Colle del presidente incaricato per sciogliere la riserva con la quale aveva accettato l’incarico di costituire un governo, si è parlato molto della piattaforma Rousseau. Se confliggesse con la Costituzione, se interferisse con le prerogative del Capo dello Stato, se fosse accettabile che il voto di poche decine di iscritti prevalesse sull’orientamento di parlamentari eletti con milioni di voti,se non vi fossero rischi di brogli e di hackeraggi, etc. Tutto ciò, in un paese nel quale dal 2007, dopo l’edizione del fortunato libro-inchiesta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, è diffusa l’idea che i politici, costituitisi in casta, vadano a caccia di poltrone per farne un uso spregiudicato non ha giovato al buon nome dei politici. Verosimilmente può aver aumentata la distanza degli Italiani dalla Politica, il che non è un vantaggio per il Paese. Anzi è un gravissimo danno.
Insomma la crisi di governo ha messo a nudo l’entità di un problema che costituisce una minaccia serissima per l’assetto istituzionale e per la Democrazia ed è brodo di cultura dei populismi. Ad esso non si dà l’attenzione che meriterebbe; se ne discute e scrive assai meno di quanto servirebbe e niente si fa per affrontarlo. Eppure non è meno grave della corruzione e della malavita organizzata, per fare degli esempi. Forse lo è di più. Un antidoto potrebbe esserci.
Giorgio Gaber negli anni ’70 cantava che <La libertà non è star sopra un albero Non è neanche il volo di un moscone.La libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione> Io,che non so cantare,mi limito a scrivere che Democrazia non è ficcar schede dentro l’urne ma anch’essa è partecipazione. Se la partecipazione è scarsa è poca la Libertà si riduce il tasso di Democrazia del Paese e ne soffre anche la Rappresentanza, perché la sua base si riduce ad una delega data una volta per tutta la legislatura.
In Italia la partecipazione è scarsissima dopo la scomparsa dei partiti di massa e l’indebolimento di altre organizzazioni di massa. Sfido io che la Politica si è allontanata dalla Società e viceversa C’è il rischio che la situazione peggiori.
E’ a questo, credo, che si sia riferito sere fa Achille Occhetto in una trasmissione televisiva quando ha manifestato grande preoccupazione per la venuta meno della intermediazione dei corpi intermedi e della loro capacità educativa. In assenza della quale – ha paventato Occhetto – il popolo può divenire una “brutta bestia”. Una o due sere dopo il prof. Luciano Canfora ha stigmatizzato l’espressione di Occhetto, che, al di là della forma,ha assolutamente ragione. Non occorre ricordare i sanfedisti che conclusero la risalita dalle Calabrie, al comando del cardinale Fabrizio Ruffo, in piazza Dante a Napoli, dove festeggiarono la restaurazione del Regno delle Due Sicilie ed il ripristino della Santa Fede giocando a bocce con le teste dei difensori della Repubblica Partenopea, prelevate dal canestro del boia. Basta ricordare il pane calpestato a Torre Maura, qui a Roma, solo qualche mese fa.
Non sembri azzardato ritenere che se il nostro paese fosse stato disseminato di sezioni dei partiti (tutti) di una volta, di circoli e di cellule, i recenti populismi e sovranismi non avrebbero superato l’argine dell’ azione educativa svolta da quelle entità. Azione educativa che non vuol dire imbonire e neppure riempire le teste di nozioni, ma, come l’etimologia suggerisce, trarre fuori, portare allo scoperto le qualità e le potenzialità di ciascuno/a. Esattamente questo si faceva in sezioni, circoli e cellule che erano luoghi dove si acquistava la consapevolezza di sé, del proprio stato e dei propri diritti, si imparava ad osservarsi intorno ed a comprendere e valutare ciò che accadeva. Se occorreva si dava anche un po’ di istruzione come presupposto per l’azione educativa.
Così si faceva politica non solo nelle Istituzioni ed ai vertici, ma anche alla base del Paese dove si organizzavano interessi, si rilevavano bisogni, si strutturava la domanda delle diverse componenti della Società, si formavano opinioni. Tutto affluiva nelle sedi decisionali sino al Parlamento per mezzo dei partiti e delle altre organizzazioni di massa. La partecipazione era questa. Che non c’è più. Bisognerebbe dunque ricostruire sedi e forme di partecipazione,sperimentandone di nuove.
Le uniche novità viste in questo campo sono le “primarie”, limitate però a singole circostanze, e quanto sperimenta il Movimento 5Stelle. Il quale ha tantissimi difetti – ambiguità, improvvisazioni, impreparazione, intemperanze e tant’altro, fra cui degli errori anche marchiani – ma al quale non si può disconoscere che ha provato e sta provando forme nuove di organizzazione e di partecipazione. Come non si può non dargli atto che ha drenato scontenti,aspirazioni e bisogni impedendo che si dirigessero altrove. Capisco che come tutte le novità possa suscitare diffidenze e preoccupazioni,ma, pur non essendo suo elettore, penso che sia stato e sia un errore guardarlo con sussiego e senso di superiorità. Andrebbe osservato con attenzione e con la consapevolezza che essendo qualcosa di nuovo e di diverso non lo si può valutare con le sole categorie che ci portiamo dal passato. Va sospeso il giudizio ed i singoli fatti vanno valutati senza pregiudizi
Consideriamo in questa ottica la questione della piattaforma Rousseau. Se ne lamentano la insufficiente trasparenza e la scarsa affidabilità. Può darsi che si tratti di critiche fondate e che davvero sia opportuno apportarvi miglioramenti. Ma forse non sono a rischio di infiltrazione le primarie? Qualche episodio del genere non si è forse già verificato? Quanto alle iscrizioni ignoro quale sa la procedura per la Piattaforma. Ho qualche notizia circa le iscrizioni ai partiti di un tempo, a proposito delle quali circolavano voci a proposito di “signori delle tessere”,cioè di notabili che guidavano al tesseramento “truppe cammellate” di cui erano in grado di controllare successivamente il voto. Con ciò non voglio negare che se la Piattaforma sia da perfezionare non vada fatto.
Per il resto, penso che affidarsi alla base per decidere di alleanze e programmi, invece che ad una Direzione Nazionale o ad una “Cabina di Regia”,non sia scandaloso. Tutt’altro. Né mi sembra che possa esserci prevaricazione nei confronti dei parlamentari il cui ruolo è di rappresentare la Nazione senza vincolo di mandato e di legiferare, ma non di decidere della linea della forza politica cui si riferiscono. Non è diverso il caso di decisioni prese da Direzioni Nazionali e da Cabine di Regia. Nella fattispecie l’accordo tra PD e 5Stelle sarebbe potuto saltare sia per il voto contrario degli iscritti, espresso attraverso la Piattaforma Rousseau sia se la Cabina di Regia del PD avesse giudicato non confacenti i contenuti del programma o gli equilibri nel Governo. In ognuna delle due ipotesi nessuna interferenza ci sarebbe stata se la decisione fosse avvenuta prima che il presidente designato si fosse recato dal Capo Dello Stato a “sciogliere” la riserva, formula appositamente prevista perché nessun accordo può essere dato per scontato.
Alla prova dei fatti credo che a parte l’auspicio di una migliore affidabilità della Piattaforma nessuna delle preoccupazioni della vigilia resti in piedi. Mentre restano confermate la necessità e l’urgenza di organizzare sedi e forme nuove della partecipazione, perché non si può, non si deve lasciare questo compito solo al Movimento 5Stelle.
Mi sembra che alla prova dei fatti sia questo l’insegnamento che dobbiamo trarre dalla crisi che fortunatamente – a mio avviso – si è risolta grazie all’alleanza tra PD e 5Stelle che ha consentito la formazione del secondo Governo Conte.