Il prossimo 20 settembre ci attende un passaggio fondamentale nel percorso di verità e giustizia sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. È un passaggio stretto. V’è il rischio reale di trovare, di fronte a noi, un ultimo ed invalicabile muro contro il quale potrebbe arrestarsi, forse per sempre, il tormentato sentiero su cui ci ha instancabilmente guidato, sino al giugno 2018, Luciana Alpi. Come avvocato sento tutto il peso di questa vigilia. Al giudice per le indagini preliminari affideremo la nostra accorata e motivata istanza, affinché il duplice delitto della giornalista Rai e del suo operatore, avvenuto a Mogadiscio quel tragico 20 marzo 1994, non venga lasciato impunito. La Federazione Nazionale della Stampa Italiana, insieme all’Ordine dei Giornalisti ed all’Usigrai, saranno al fianco di chi rappresenterà in aula la famiglia Alpi (gli avvocati Carlo Palermo e Giovanni D’Amati), per indicare con estremo rigore al GIP tutti i punti oscuri dell’inchiesta su cui è doveroso continuare ad indagare, anche a venticinque anni di distanza da quell’agguato. Lo dobbiamo a chi ha sofferto direttamente, nella più intima dimensione personale, il dramma che si è consumato quel giorno; all’intera comunità dei giornalisti italiani che è stata sconvolta da quella barbarie; ma anche a chi, nel corso degli anni, ha patito sulla propria pelle gli effetti “collaterali” di un depistaggio che si protrae sino ai giorni nostri. Penso ad Omar Hashi Hassan che ha trascorso oltre sedici anni in carcere, da innocente, quale “capro espiatorio” di un crimine orrendo che menti raffinatissime hanno voluto e saputo attribuirgli: il più grande e grave errore investigativo commesso nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio Alpi-Hrovatin ma non il solo. L’ultima richiesta di archiviazione avverso la quale tutte le parti offese (fra cui, per l’appunto, OdG, Fnsi ed Usigrai) hanno presentato ferma opposizione denota un’arrendevolezza che assume gli sconfortanti contorni della denegata giustizia. È per questo che ci accingiamo ad esporre al giudice, con la massima determinazione, le nostre solide ragioni, indicando con precisione le indagini che meritano di essere ancora espletate con riguardo alle fonti dei servizi segreti sin qui taciute, alle presenze ed alle attività del contingente italiano in Somalia, al coinvolgimento dei potentati locali nell’agguato, ai traffici illegali che fanno da sfondo costante a questa tragedia. La forza degli elementi di prova che sottoporremo al vaglio dell’Autorità giudiziaria, unitamente al calore dei tanti giornalisti che supportano concretamente questa “giusta causa”, rinsaldano la nostra speranza. Siamo fiduciosi che tutto ciò possa bastare, dopo i tanti ostacoli già fronteggiati in questi lustri, per superare anche questo difficile tornante.