Un fondo bianco, nove performer in scena, di schiena. Poi lentamente, uno dopo l’altro si alzano ed iniziano a camminare in circolo, ora insieme, ora sparsi, quasi a formare piccoli gruppi. Quindi corrono, dapprima in un silenzio assordante, quindi interrotto dalle loro ripetute risa. Il riso diventa l’unica forma espressiva che gli è data: è in questo modo che, senza lasciarne comprendere le ragioni a loro stessi e al pubblico, ridono ad oltranza.
La risata nasconde dunque gioia, ma anche dolore e sofferenza, persino della violenza. Augusto, di Alessandro Sciarroni, Leone d’Oro alla Carriera della Biennale Danza 2019, in scena al Teatro Argentina in apertura di stagione soltanto 8 e 9 settembre – spettacolo ospite della rassegna sulla coreografia contemporanea Grandi Pianure in collaborazione con Short Theatre – diventa il paradigma di un mondo a senso unico, una riflessione sul bisogno di amore di ciascuno e sulla sofferenza, ma forse anche una critica alla società contemporanea non più capace di soffermarsi a comprendere, una società della superficialità nella quale il riso – ed anche lo scherno – è diventato elemento paradigmatico. Ed allora si ride, si ride del dolore, di quello proprio e di quello altrui, della follia, della violenza, finanche di quella gratuita. Il titolo è proprio un omaggio ad Augusto, il clown del quale si ride, anche quando inciampa, cade o combina disastri e poi riceve uno schiaffo per punizione dal suo collega.
Sulla scena i nove protagonisti (a rotazione, il gruppo è composto da 11 elementi), che sono attori, danzatori e cantanti, hanno una potenza inaspettata. Grande performance fisica che trasmette, soprattutto in alcuni momenti, una potenza drammatica quasi commovente. Creazione ardita ma convincente.