È mancata la giornalista dell’Unità Delia Vaccarello. Cronista, attivista, scrittrice. Per prima abbatté il muro su un giornale parlando di omosessualità
di Silvia Garambois
Delia Vaccarello era un cespo di capelli con sotto un sorriso. A me, ora, sembra di non sapere dire altro di lei. Quando un giornalista muore c’è sempre qualcuno che lo indica come “maestro”. Delia non era una maestra, lei aveva tirato giù un muro a spallate, ci aveva obbligato a raccontare la realtà senza tagliarla con l’accetta. Noi, all’Unità.
Sto parlando di tanti anni fa, il secolo che fu. Mentre cominciavano a fare notizia gli “outing” di questo e di quello, noi sulla pudica l’Unità scrivevamo senza infingimenti su temi e problemi del mondo omosessuale (ancora non si parlava di Lgbti). Ma dove si mettono articoli così? Cronaca, politica, varia… In prima pagina. Non c’è altro luogo. Ed è dirompente. E Delia era dirompente. Si dice “cronista di razza”, un’espressione abusata, non va bene addosso a lei: Delia, piuttosto, ne aveva macinata tanta di cronaca, sapeva come raccontare. Ha vinto un mucchio di premi prestigiosi per questo.
Certo, l’Unità aveva nel dna i sussulti per descrivere la realtà per quel che era, al di là della rigidità dell’agenda giornaliera, tra politica e ultim’ora di agenzia. Delia lì trovò lo spazio. Il coraggio? Non so se si è mai posta il problema di essere una donna coraggiosa. Non so tante cose di lei. So che era trasparente come un vetro, se parlava d’amore o di malattia.
Sono ore che cerco nella confusione della mia libreria un librettino a fumetti che pure mi è caro: ho visto che nei ricordi di questi momenti vengono citati molti suoi libri (L’amore secondo noi: ragazzi e ragazze alla ricerca dell’identità; Quando si ama si deve partire; Evviva la neve, tutti pubblicati da Mondadori), ma con quello lei voleva arrivare a chi s’annoia a troppe parole scritte, mischiarsi tra un Tex e un Topolino. La ricerca dell’identità sessuale e sentimentale delle ragazze e dei ragazzi attraverso un libro a fumetti, ecco cosa è Sciò!: giovani, bugie, identità. Un’altra idea, un’altra scommessa.
Forse, oltre che un cespo di capelli e un sorriso, Delia era pure timida. O almeno delicata nell’approccio. E comunque non le mandava a dire e non stava in disparte: ho dei flash dei suoi interventi alle assemblee al giornale. Battagliava sempre. Alla fine conquistò una pagina settimanale sull’Unità, per affrontare temi e problemi Lgbti, che si è tenuta stretta fin che è riuscita, tra crisi del giornale e malattia: Uno, due, tre… liberi tutti.
I corsi di formazione professionale per giornalisti, spesso insieme a Franco Grillini, sono stati senz’altro per Delia un nuovo strumento per il suo attivismo. Perché questo era: una attivista dei diritti. I diritti Lgbti, i diritti di tutti. L’hanno conosciuta così in tanti, da Bologna a Mantova, a Cagliari… So quanto è stata apprezzata.
Delia era una bella collega, una bella persona, una bella donna. Parlava della malattia (cancro, si chiama cancro) con la stessa libertà con cui aveva sempre parlato di tutto. E delle recidive, maledette recidive. E sorrideva perché c’era comunque sempre piacere a ritrovarsi, noi, dell’infinita diaspora dell’Unità, legati tutti da un filo che non sappiamo neppure più di cosa è fatto. Di una condivisione profonda, certo, tanto forte da farci comunità.
Delia, non sono riuscita a raccontarti abbastanza, vero? È difficile. Una foto, forse, dirà di più di te…