Un anno fa il crollo del Ponte Morandi. Lo Stato agisca per ridare speranza a Genova

0 0

È trascorso un anno dal quel tragico 14 agosto del 2018 quando è crollato il ponte Morandi di Genova. Decidere di  raccontare solo ora un’esperienza tragica, sia pur come semplice testimone, non è stato facile. Non l’ho fatto quel giorno per non attirare su di me nessuna attenzione nel rispetto, invece, del dolore di chi stava soffrendo. Trovo disdicevole che a fronte di una tragedia così devastante per la città di Genova e per l’Italia stessa, ci siano persone capaci di fotografarsi nelle vicinanze del ponte e di quello che ne restava con l’intento morboso di farlo sapere.

Di fronte ad un evento così catastrofico l’unica reazione ammissibile dovrebbe essere quella di provare sgomento e testimoniare la vicinanza a chi ha perso i loro cari. Il 14 agosto ero a bordo di un pullman diretto a Genova quando per una fatidica serie di casualità  viaggiavamo in  ritardo rispetto alla tabella di marcia evitando di transitare sul ponte Morandi al momento del suo crollo. L’autista comunica a tutti i passeggeri spaventati che per un problema grave venivamo deviati su un’uscita autostradale secondaria. Il display a bordo segna le 11.36, quando a pochi chilometri dal ponte, il conduttore del pullman viene avvisato di fermare la guida e di uscire dall’autostrada per “un incidente sul ponte”. La pioggia tra Milano e Genova – e ancor prima l’attesa di passeggeri di un volo in ritardo all’aeroporto di Bergamo di Orio al Serio  – si sono rivelati determinanti per evitare il transito sul ponte. Partito alle 6 della mattina il viaggio non aveva presentato particolari difficoltà fino a quando la visione spettrale del crollo mi era apparsa a poche centinaia di metri dal ponte.

La polizia stradale ci aveva fatto fermare con l’obbligo di non tentare nessuna manovra per non ostacolare il transito dei mezzi di soccorso. La scena che si presentava fuori dai finestrini può essere solo definita come apocalittica: una pioggia incessante mista al fumo sollevato dal crollo di tonnellate di cemento, monconi del ponte che barcollavano nel vuoto. Un camion verde che trasportava generi alimentari fermo sul ciglio a pochi metri dal baratro. Vedevo un’automobile sospesa tra tiranti di acciaio e spezzoni di cemento armato. Uomini correvano al contrario verso la galleria per portarsi in salvo. Ricordo il suono delle sirene come un sibilo penetrante. L’arrivo dei mezzi di soccorso da tutte le direzioni e nel cielo gli elicotteri dei vigili del fuoco calavano i soccorritori per trasportare i feriti e salme verso gli ospedali. Genova appariva in quel momento una città bombardata. L’impotenza di noi passeggeri “prigionieri” acuiva ancor di più la sofferenza e lo spavento dei tanti giovani stranieri presenti a bordo era percepibile sui loro volti. I loro telefoni suonavano interrottamente segno che i loro familiari erano già al corrente di quanto accaduto. Chiedevano spiegazioni e cercavano anche di essere rassicurati da chi, come me, più adulto, cercava di calmare il loro stato d’animo. Le forze di polizia presenti ad ogni angolo di strada cercavano di deviare il flusso di centinaia di automezzi bloccati. 

Solo dopo 4 ore ci è stato dato il permesso di ripartire a velocità molto ridotta per raggiungere la stazione di Genova Porta Principe. Venivamo fermati in continuazione per dare precedenza a decine di automezzi dei vigili del fuoco dotati di gru, autoambulanze provenienti da tutte le città della Liguria. Dalla Lombardia e dal Piemonte stavano arrivando altri soccorritori tra cui le squadre specializzate con i cani da ricerca. Un’imponente ed efficace organizzazione di pronto intervento a dimostrazione che l’Italia sa sempre dimostrare in occasioni cosi drammatiche. Non è facile retorica dei buoni sentimenti raccontare di aver visto piangere molta gente per strada, nei bar dove la televisione trasmetteva le prime immagini della catastrofe. L’atrio della stazione era affollato da migliaia di passeggeri in attesa da ore invano. Non partiva e non arrivava nessun treno: anche una delle linee ferroviarie che  arrivano a Genova era stata lesionata per la caduta del ponte. I tabelloni con le partenze e gli arrivi segnalavano “ritardo indefinito” e traffico ferroviario sospeso”. Volontari della Protezione civile e  della Croce Rossa cercavano di  alleviare i disagi di tanti anziani sofferenti in attesa di partire da ore. Aleggiava un’atmosfera strana, surreale, come se non ci si fosse resi ancora conto realmente della tragedia. Era difficile credere a quanto era accaduto.

Un ponte  si era frantumato in pochi secondi portando con sé tra uomini, donne e bambini. 43 vittime ancora senza giustizia. Il giorno dopo a Genova c’erano le autorità dello Stato e la promessa di ricostruire il ponte in tempi brevi, la solidarietà delle istituzioni, le tante dichiarazioni cadute anch’esse nel vuoto per individuare celermente i responsabili e impedire altre tragedie simili in futuro. Oggi quello che restava del ponte è stato fatto esplodere e centinaia di abitanti hanno dovuto lasciare le loro case per sempre. I vertici dello Stato saranno di nuovo a Genova per celebrare il primo anniversario di un lutto nazionale. La volontà di ridare alla città una vita normale è ancora ben lontana da essere restituita.  Non sia la solita passerella mediatica a farci credere che lo Stato è presente ma agisca per ridare speranza a Genova che attende di avere non solo un ponte ma la sua dignità e operosità da sempre dimostrata. 


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21