Il troppo stroppia, si diceva un tempo. Questa è stata la sensazione che molti hanno avuto ieri quando Matteo Salvini è tornato a usare simboli religiosi, questa volta in Parlamento. E quando il troppo si incontra con il sacro la questione ha rilievo, per il troppo e forse anche per il sacro. Che potrebbe ritrovare nel sentimento comune il bisogno di rispetto.
Certo, nel dibattito c’è stato anche altro. Il senatore La Russa, ad esempio, ha parlato di simbolo religioso per lo scudo crociato della Dc. Procedendo così però si potrebbe pensare che la Svizzera sia lo Stato della Città del Vaticano per via della sua bandiera, o che le bandiere scandinave indichino teocrazie, o ancora che si sceglie il partito facendo un simbolo religioso sul simbolo prescelto. Se invece fosse, come io credo, che esistono dei simboli antichi e che quello che non si può fare è appropriarsi del rosario o del Crocifisso per sostenere il contrario di quanto professa il Vangelo o la dottrina sociale della Chiesa per chi è cattolico, allora la cosa cambierebbe. La polemica argomentata dal presidente Conte è così che trova pregnanza, senza possibilità di comparazione tra l’uso del Crocifisso e dello scudo crociato della Dc. Di mezzo, e Conte ha fatto benissimo a sottolinearlo, c’è anche se non soprattutto la laicità dello Stato, visto che l’uso dei simboli religiosi è stato compiuto da un ministro.
Ma in questa polemica mi è parso significativo il richiamo alla natura tardiva del richiamo del presidente del consiglio. Se è vero che c’era un momento di crisi per la laicità dello Stato (il capovolgimento del messaggio religioso non è competenza di Conte, viene da chiedersi come mai il capo del governo abbia ritenuto di esternarlo soltanto ora.
Chi ha centrato il punto è stato, e va detto, Matteo Renzi, che citando il cruciale Matteo 25, “avevo sete…avevo fame…”, ha colto il problema politico e religioso riferendo proprio l’insegnamento evangelico alla vicenda dei profughi bloccati sulla nave Open Arms da più di due settimane. Il decreto sicurezza bis lo ha voluto il ministro che usa i simboli religiosi, ma non si è notato un diniego del presidente del consiglio alla richiesta di fiducia su quel decreto. Ma se questo è vero, l’ex presidente Renzi, che certo non ha votato questo decreto sicurezza, dovrebbe spiegare perché il suo governo, pochi mesi dopo essersi insediato, abbia preferito all’operazione Mare Nostrum, varata dal suo predecessore Letta, la missione di Frontex. Il raggio d’azione della prima arrivava fin sotto le coste libiche, con interventi di mezzi anfibi e piccole lance, per un costo di 9,5 milioni al mese. La seconda prevedeva il pattugliamento entro 30 miglia dalle coste italiane e non prevedeva forze specializzate per il salvataggio; il suo costo era di 2,9 milioni.
Insomma la questione dell’umanità e del soccorso in mare è vecchia, e progressive sono le responsabilità. Ma anche a non voler risparmiare nessuno, va riconosciuto che è stato Matteo Renzi a centrare il punto della questione che rimane il volere associare il nome della Vergine Maria e quindi la fede cristiana a una politica di respingimenti che nega il soccorso a chi è in difficoltà. Questo nuovo cristianesimo divenuto identificativo politico sa di appropriazione da parte di Cesare di ciò che è di Dio, e questa è una novità anche per i tradizionalisti, nostalgici o ultra nostalgici che siano. Il cattolicesimo tradizionalista che rifiuta le novità epocali del Concilio Vaticano II esiste da allora, ma ha sempre visto l’autorità religiosa come superiore a quella civile. Oggi il tradizionalismo cattolico, quello che non ha mai accettato il Concilio Vaticano II e soprattutto la sua novità epocale, cioè il riconoscimento della libertà religiosa, si dovrebbe consegnare alla politica, forse intenzionata a plasmare una Chiesa etnica, nazionalista, ad esso sottoposta. Dunque i cattolici tradizionalisti dovrebbero sovvertire la loro tradizione e passare da un impianto teocratico a un impianto cesaropapista, come si dice per indicare quei sistemi in cui il potere religioso è sottoposto a quello politico. Insomma, i tradizionalisti forse non dovrebbero essere più tradizionalisti. Almeno la tradizione come la intendono loro non è quella di cui si è parlato ieri al Senato.