Riceviamo e pubblichiamo una riflessione che pone l’attenzione su una notizia preoccupante anche perché lanciata ad agosto, momento nel quale, per ferie e sacrosanto riposo, le famiglie sono in vacanza e le scuole sono chiuse. Ci riferiamo alla dichiarazione della sindaca di Monfalcone, Anna Maria Cisint, che ha affermato di voler far partire, con l’inizio del nuovo anno scolastico, un servizio di ascolto riservato per gli studenti che desiderano segnalare i docenti ostili o non in linea con le ordinanze della prima cittadina.
A volte bisogna essere grati anche a chi se ne inventa una al giorno. Lo diciamo senza polemica, ma con desolata sincerità perché quando un’istituzione continua ad urlare ordinanze e provvedimenti, dopo un iniziale desiderio di lasciar cadere per non offrire un megafono in più, fa capolino il desiderio altrettanto forte di provare a capire, di voler approfondire e, quindi, garbatamente, dire.
La scuola è un terreno delicato, tanto quanto le persone che la frequentano. Sono bambini e giovani dai mille volti, idee, opinioni, talenti, sogni, aspirazioni, esperienza familiare, nazionalità. Sono piante in crescita che hanno certo bisogno di regole e paletti per rimanere dritte, sicuramente bisogno di guide culturalmente preparate e umanamente valide, ma anche bisogno di uno spazio franco nel quale politica ed ideologie non prendano il sopravvento. E ciò rispetto a qualunque colore esse facciano riferimento. Il dovere di vigilare sul rispetto delle regole e sull’eventuale veicolazione di idee politiche (posto che ognuno porta in aula ciò che è, alunno o insegnante che sia, e che da che mondo è mondo tutti noi abbiamo avuto a che fare con insegnanti dell’uno o dell’altro colore politico) spetta istituzionalmente al dirigente scolastico, non al sindaco. Che poi i dirigenti scolastici siano sempre più dei semplici reggenti o facenti funzioni, con oggettive difficoltà ad essere presenti in tutti gli istituti e con risorse sempre più risicate per far funzionare la macchina scolastica, questo è un altro dato di fatto. Ma quando si fanno annunci che preludono ad un uso personalistico di un’istituzione importantissima come il Garante per i diritti dell’Infanzia, pare, davvero, che la democrazia sia messa seriamente in pericolo, così come l’autonomia della scuola come istituzione e come casa dei nostri cittadini più giovani.
Prima di fare un ripasso giuridico, facciamo memoria ricordando che la democrazia prevede l’esistenza di una minoranza che ha votato diversamente dalla maggioranza e che deve essere rispettata alla pari, essendo parte della cittadinanza con i medesimi diritti e i medesimi doveri. Ricordiamo anche che l’esistenza di un’opposizione permette – ovviamente dipende da come uno se la vive – di controbilanciare eventuali eccessivi slanci del potere eletto se mai esso tendesse ad esercitare il potere maggiormente a sfavore di alcuni e/o maggiormente a favore di altri. «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» recita l’art. 1 della nostra legge fondamentale. Tanto per ricordare che quella sovranità non è proprietà privata, ma patrimonio di tutta la collettività. E una sovranità esercitata male fa male a tutti, nessuno escluso.
Ma ci imponiamo anche di andare ad informarci e vedere cos’è l’Autorità Garante, quali i suoi compiti e quali le sue funzioni. E lo ripassiamo ad “alta voce”: «L’Autorità agisce innanzitutto per promuovere l’attuazione della Convenzione [Onu, 1989] e degli altri strumenti internazionali in materia. Numerosi progetti sono volti, in particolare, ad assicurare la conoscenza da parte dei bambini e dei ragazzi dei propri diritti e la consapevolezza di esserne pienamente titolari». Un’istituzione a favore dei bambini e dei ragazzi, quindi, non ad uso e consumo del potere. Nella relazione annuale che l’Autorità ha di recente inviato al Parlamento relativa al 2018 si legge, tra le varie cose, che «fra gli studenti è stato raccolto un bisogno di ascolto, di essere supportati a gestire problematiche e conflittualità che si sviluppano frequentemente all’interno del contesto scolastico, amicale e familiare. Allo stesso tempo è stato possibile ascoltare da parte loro un desiderio di essere coinvolti, in modo attivo, nella ricerca di soluzioni ai conflitti, mediante forme che promuovano la partecipazione personale e l’educazione alla cittadinanza attiva». Quest’ultima parte, crediamo, ci confermi il profondo bisogno di ascolto di bambini e ragazzi. Ma ci racconta anche di un desiderio di essere coinvolti nella ricerca di soluzioni ai conflitti. Non di avere qualcuno a cui “fare la spia” perché possa intervenire dall’esterno a mo’ di un elefante in un negozio di cristallerie, ma di avere qualcuno che li aiuti a non sentirsi soli quando hanno un’idea diversa dagli altri – qualunque essa sia -, che li aiuti a mettersi in discussione in modo costruttivo di fronte ad un conflitto che li tocca come cittadini, che li aiuti a non vivere in un clima di paura, ma di confronto sereno, senza che l’insulto diventi il mezzo principe per relazionarsi con gli altri.
Viene poi da chiedersi se a fronte di alcuni ragazzi che si sono sentiti “bullizzati” per le loro idee “non di sinistra” (così ha riferito la sindaca in alcune dichiarazioni) ve ne siano altri, almeno altrettanto numerosi, che si sono sentiti bullizzati ed umiliati da certe prese di posizione di insegnanti “non di sinistra” e che per paura non hanno mai detto una parola.
Rispettare la Costituzione è un dovere di tutti senza distinzioni né a destra né a sinistra. E dobbiamo avere il coraggio di dire che non è democratico voler controllare anche questo spazio franco e delicato come quello della scuola, cosa, oltretutto, nemmeno sana, perché impedisce ai nostri figli di tirare fuori il meglio da loro stessi se noi continuiamo a voler intervenire e metterci le mani.
Ed infine una domanda che è sorta spontanea in questa domenica di agosto: ma se un sindaco (a qualunque colore appartenga) è così convinto della bontà delle proprie ordinanze e provvedimenti, perché si sente vacillare di fronte a qualche insegnante che abbia espresso un parere non proprio favorevole (magari ancora da verificare)? Francamente, spaventa di più un insegnante che confonde la parola “clandestino” – offrendone dettagliata definizione, ma dimenticando che è una categoria giuridicamente inesistente e non è lo status di una persona – con il “reato di clandestinità” – che punisce (e sul quale si potrebbe discutere a lungo) un comportamento sancito dalla legge come penalmente rilevante -.
Smorzare i toni potrebbe, se non altro, aiutare a fare chiarezza. Attendere settembre per permettere un confronto nei tempi e nelle sedi competenti, favorendo la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, studenti compresi, sarebbe, perlomeno, auspicabile.