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Perché la battaglia sulle bombe sarde non è finita

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Nei giorni scorsi, i vertici della RWM hanno scritto ai dipendenti, diffondendo una notizia sino a quel momento riservata. Hanno fatto sapere di aver ricevuto la comunicazione del governo, a sospensione delle licenze di export verso l’Arabia Saudita; l’atto operativo dopo l’approvazione della mozione parlamentare di embargo. In pratica dallo stabilimento di Domusnovas, Iglesias, non partiranno più bombe MK80 che i jet sauditi scaricano sullo Yemen, troppo spesso colpendo obiettivi civili, massacrando bambini e pazienti di ospedali.

Quelle stesse bombe che negli ultimi mesi un cargo saudita si era affrettato a caricare, facendone scorte.  È una vittoria dei cittadini del Sulcis che, in gran solitudine, dal 2015 si sono battuti costruendo alleanze e mai alzando i toni, operando in una situazione difficile perché nel Sulcis della crisi mineraria e del deserto industriale, quei meno di 300 posti di lavoro della RWM (la metà dei quali a termine) pesano. E sono stati trattati dalle autorità locali come se si stesse parlando di un enorme opificio come fu l’Alcoa, in questa stessa zona.  È anche una vittoria di quella parte di informazione che ha illuminato una vicenda, più che dimenticata del tutto trascurata, derubricata a piccola vicenda locale quando invece richiamava temi internazionali e i valori costituzionali (oltre che una precisa legge dello Stato sulle forniture belliche ai Paesi in guerra).  La battaglia non è però finita, ci ricorda il comitato per la riconversione della RWM che chiede un futuro diverso per lo stabilimento di Domusnovas e ha sfidato l’azienda e gli enti locali al TAR, contestando le autorizzazioni per l’ampliamento dello stabilimento e la costruzione di un poligono di prova.  La produzione bellica – soprattutto quella a bassa tecnologia – è legata all’andamento dei conflitti, non c’è un motivo specifico che leghi lo stabilimento al territorio sardo; nessuno ne può escludere la delocalizzazione.  Il comitato ne chiede la riconversione al civile, in un’ottica di rilancio economico del Sulcis, una delle zone piµ povere d’Italia.  Per questo, non sempre ascoltato dalle istituzioni locali, continua a battersi. Il suo lavoro va illuminato anche perchè richiama uno dei grandi temi ormai scomparsi dall’agenda politica: la questione meridionale, lo sviluppo di quella parte d’Italia tornata ad essere luogo di emigrazione e dove la stretta delle mafie resta forte.  Va illuminato anche il conflitto in Yemen, la peggior catastrofe umanitaria dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi, ormai una crisi dimenticata per eccellenza. Un conflitto che evidenzia enormi responsabilità del regime saudita e nel quale – tra bombe, carestia ed epidemie – i civili stanno pagando un prezzo altissimo.

 


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