Non c’è forse, nella società attuale – sia in Italia che in Europa -, un ritorno indietro, dalla cultura alla biologia, un pericoloso scivolamento da identitarismi culturali a identitarismi razziali?
Nessun noi sa bene cosa sia in realtà la propria identità, eppure ogni noi identitario sa usare le proprie armi da taglio (fisiche, mentali, sociali, giuridiche, politiche) nei confronti di chi arbitrariamente si decide non debba far parte del “noi”.
Quotidianamente ascoltiamo le dichiarazioni del ministro Salvini sulla, a suo parere, necessità di pensare prima agli italiani. Esternazioni politiche e culturali che fanno leva e presa sul bisogno, o meglio sull’impulso di sentirsi e di essere dei “privilegiati” per semplice diritto di nascita. E di lasciare fuori, chiudendo anche porti e aeroporti se necessario, tutti gli altri che non sono noi. Alle dichiarazioni di Matteo Salvini viene dato molto risalto mediatico e le sue affermazioni vengono associate al suo essere un leader politico sovranista e populista. Purtroppo però il concetto di identità viene costantemente frainteso e strumentalizzato, anche da esponenti di opposte fazioni politiche.
«Chi viene qui deve fare i conti con la nostra identità. Che è innanzi tutto identità culturale, civile, spirituale, sociale.» «Senza identità la contaminazione sarebbe semplicemente annullamento. Può dialogare, contaminare e farsi contaminare chi ha un’identità forte, della quale non si vergogna.»
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Sono parole pronunciate da Matteo Renzi nel 2017, riportate per esteso nel testo del professor Remotti, il quale sottolinea il carattere volutamente provocatorio delle stesse. Per mettersi agli antipodi rispetto a una destra politica che vuole la chiusura, il partito democratico, per tramite delle parole pronunciate dall’allora segretario, dichiara di essere per l’apertura. Un ‘apertura controllata però per non rischiare di annullarsi nella “babele delle differenze”.
Non ci si può “abbarbicare all’identità” e nel contempo proporre con forza l’apertura verso il futuro, verso le trasformazioni, verso una società diversa da quella attuale. Per sua natura, ricorda Remotti, l’identità ci inchioda al passato, a un presente tutto impregnato di passato.
La ricerca delle somiglianze (il pensiero delle somiglianze e delle differenze che l’autore indica con l’acronimo SoDif) porta invece altrove rispetto alle attuali società ed epoca.
Gli identitarismi si somigliano troppo e alla fine diventa facile, quasi naturale, scivolare da una posizione all’altra. Se siamo davvero propensi a una “logica meticcia” dell’incontro con gli altri, dobbiamo allora essere disposti a vederci trasformati dal dialogo stesso. Non necessariamente in quello che sono gli altri, ma in qualcosa di inedito, di diverso sia da quello che eravamo noi sia da quello che erano gli altri. Per Remotti, l’identità non è un dato di fatto, una realtà acquisita, bensì va intesa più saggiamente come un’aspirazione. Al posto dell’identità così come viene ora intesa, ci sono invece somiglianze, ovvero somiglianze e differenze. Si chiede allora l’autore quand’è e come è potuto accadere che “i nostri simili” sono diventati semplicemente “altri”. Un vuoto linguistico che nasconde ed evidenzia al contempo altri campanelli d’allarme. Quando vengono meno le somiglianze, o meglio l’affermazione delle somiglianze, si entra nell’ottica di far valere solo le differenze, ossia ciò che viene considerato “il volto esterno e truce delle identità”.
L’analisi dei concetti di somiglianza e differenza, convivenza, appartenenza, condivisione, estraneità… nonché la relazione tra essi e l’io di ognuno, viene portata avanti nel testo da Remotti con un rigore quasi scientifico, nonostante si basi su scienze non di certo “esatte” come viene considerata per esempio la matematica. L’antropologia e la sociologia saranno anche non scientificamente esatte ma riescono a permeare fino agli strati più reconditi dell’uomo e della società. Esattamente come fa Remotti con la sua analisi, esemplare, della teoria delle somiglianze e delle differenze, che immediatamente riporta “gli altri” (i diversi, gli stranieri, gli estranei) al loro più consono posto di “simili” e l’individuo al suo altrettanto miglior essere in realtà condividuo. Anche l’io infatti è un fascio di somiglianze e di differenze – sincroniche e diacroniche – sia con sé, sia con gli altri.
Un’analisi, questa portata avanti da Francesco Remotti in Somiglianze. Una via per la convivenza, che evidenzia in maniera netta e decisa la pochezza, intellettuale e culturale, di certi efferati discorsi e individualismi estremi cui si sono ridotte, o sono rimaste ancorate, la politica e la società odierne, anche italiane purtroppo.