E’ già successo e sta succedendo di nuovo: l’azione che punta a denigrare, screditare per indebolire il nostro Presidente Paolo Borrometi è ripresa, più violenta e pervicace di prima. In poche settimane una sequenza incredibile di interventi diffamanti, a gamba tesa, con la boria che caratterizza la mafia ma, forse con quel pizzico di sicurezza in più che deriva dall’aver tolto l’argomento mafia dalla lista delle emergenze ineludibili del Paese per inserire il fenomeno dell’immigrazione. E così dagli ambienti della mafia di Vittoria prima hanno denigrato il nonno di Paolo Borrometi, stimato professionista ormai deceduto, poi hanno preso di mira lui insinuando il sospetto che sia gay, confermando così il becero pregiudizio che anima l’odio social contro i supposti “diversi” e ovviamente a nulla vale che il collega non è omosessuale. E comunque davvero ancora adesso, in Europa, nel 2019, bisogna soffermarsi a fare certe precisazioni quando per la nostra Costituzione siamo (o dovremmo essere) tutti uguali al di là di fede, sesso e orientamenti sessuali e ideologici? A quanto pare sì e ciò che rammarica è che questi argomenti si infilino dentro un certosino lavoro di cronaca per screditarne l’autore. E’ questo il vero obiettivo! Se Paolo Borrometi ha avuto un nonno usuraio, è omosessuale e si è inventato le aggressioni per avere la scorta, beh allora ciò che scrive non ha alcun valore di cronaca né oggettivo. Eccolo il punto debole di coloro che lo attaccano: sono i protagonisti delle cronache del nostro Presidente, talune anticipatorie di importanti inchieste della magistratura, come spesso capita ai buoni osservatori. Ma per quanto sia difficile, per Paolo prima di tutti e anche per noi, dover anche solo controbattere a questa campagna diffamatoria è un dovere farlo. E, in fondo, è pure un’attività anche veloce: basta infatti postare, pubblicare, ricopiare il contenuto delle inchieste contenenti le intercettazioni telefoniche di coloro che vogliono la morte di un giornalista che non sta zitto e si documenta, osserva, descrive senza sconti ciò che gli accade attorno. In questa vicenda, però, c’è purtroppo dell’altro che ci riguarda da vicino: alcune affermazioni e contenuti messi in rete sono opera di un giornalista, sì, un “collega”, arrestato qualche mese fa con l’accusa di aver confezionato dossier su alcuni magistrati e pubblicato poi notizie per screditare gli stessi. Una volta tornato in libertà ha avviato lo stesso iter denigratorio nei confronti di Paolo Borrometi, partendo con un articolo in cui difendeva il pregiudicato e deputato Pippo Gennuso, il quale dopo una pena patteggiata è tornato in Parlamento. A questo punto è forse il caso che anche l’Ordine dei Giornalisti intervenga, se non lo ha già fatto, per garantire la dignità della professione svolta dalla stragrande maggioranza degli iscritti con dedizione e impegno, oltre che rispettando le regole deontologiche. Anzi è necessario in una terra difficile come la Sicilia.