In questa drammatica estate in cui abbiamo detto addio alla grande Toni Morrison, inconfondibile icona del femminismo afroamericano, non possiamo non ricordare e non rendere omaggio a colei che più di tutti, in Italia, diede voce alla grande America letteraria di Hemingway e della Beat Generation.
Dieci anni senza Fernanda Pivano, scomparsa il 18 agosto 2009 all’età di novantadue anni, e il pensiero corre subito a quelle strade degne di Kerouac che si snodano lungo superfici sterminate, a un mondo che non c’è più, affascinante e tragico, in cui politica e cultura erano un tutt’uno, come testimonia anche la profondità di determinati rapporti e lo splendoredi pagine immortali che la Pivano ha fatto conoscere ai lettori di casa nostra.
È stata una donna mite ma tenacissima, ferma, innovativa, in grado di apprezzare tutte le forme d’arte e d’espressione, come dimostra anche il suo bellissimo rapporto d’amicizia con Fabrizio De André, colui che mise in musica l’Antologia di Spoon River di Egdar Lee Masters.
Nanda è stata la battagliera protagonista di un secolo di illusioni e di passioni dirompenti, la combattente per antonomasia, anticonformista e visionaria, profonda e capace di estrarre l’anima da ogni testo, tanto che molti degli autori che ha tradotto sono diventati suoi carissimi amici.
Aveva in sé la saggezza dell’Europa e il sogno dell’America dei tempi d’oro: era un Patto Atlantico vivente, nella sua accezione più nobile.
Congiungeva le due sponde di un Oceano oggi sempre più distante, con la forza della parola e la costanza di chi non si arrende mai alla barbarie.
Credeva nel futuro, in un’idea di bellezza, di poesia, di libertà.
Dieci anni senza Nanda, in un’America radicalmente cambiata che, di sicuro, l’avrebbe fatta soffrire, in un mondo che sembra aver smarrito del tutto quell’idea di umanità di cui lei era una portatrice sana, forse una delle ultime rimaste.