Trent’anni sono trascorsi da quando Armando Punzo varcò per la prima volta l’ingresso della Fortezza di Volterra. Luogo di detenzione carceraria, un tempo anche di massima sicurezza, ma negli anni a venire ha visto un processo di trasformazione inarrestabile, fino a diventare spazio di libertà per la creazione artistica: quello della Compagnia della Fortezza. «In questa cella che mi ha accolto la prima volta ho passato la maggior parte del tempo, da sveglio, fino ad oggi. Trent’anni sono il peso lieve di una storia vissuta e lo slancio verso un futuro pieno di promesse, ma il presente sfugge nell’osservare queste due sponde cariche della loro irrealtà. Non avevo mai pensato a questi trent’anni come tempo trascorso, fino al giorno del loro compimento. All’improvviso le azioni hanno mostrato la loro folle determinazione, la necessità dettata da una particolare disperazione, quella di un giovane artista – scrive Armando Punzo nel programma del progetto speciale per i trent’anni della Compagnia della Fortezza (culminato con lo spettacolo Naturae – ouverture andato in scena dal 31 luglio al 4 agosto) – che voleva interrogare la realtà per distinguere tra le sue pieghe un riparo e un campo di battaglia non violenta, capace di far rinascere luoghi e persone, di rinominarli e proiettarli sotto un cielo diverso ma altrettanto concreto. Avevo bisogno di mura che mi contenessero, di un ostacolo insormontabile da superare. (…) In carcere il teatro non si concede illusioni, la realtà, è sempre pronta a offenderti, a vomitarti addosso tutta la sua impossibilità. Il teatro si rinforza in questo scontro continuo, sottrae con le unghie terra a quel continente infinito che è la vita. Sottrae vita alla vita e la trasforma. (…) Il carcere non mi attendeva e io l’ho colto di sorpresa. L’ho visto difendere con i denti la propria identità, chiudersi ancor di più su se stesso, rifiutare ogni apertura, offeso, livido di rabbia per essere stato scoperto nella sua meschina e inutile realtà».
Chi non è mai entrato in questa monumentale fortezza d’epoca rinascimentale, per assistere al teatro di Armando Punzo, non può comprendere il peso di queste parole, l’importanza che rivestono per un progetto a cui il regista e sua moglie Cinzia De Felice si dedicano da tanti anni: la costruzione di un teatro stabile. Nei giorni di spettacolo, esperienza artistica unica nel suo genere per la relazione unica che si viene a creare tra attori e pubblico, lo spazio della scena chiamato “il campino”, circoscritto dalle sbarre di ferro che si trasforma in un teatro a cielo aperto, la collaborazione con gli agenti di guardia, si è discusso del progetto di costruzione del teatro durante un sopralluogo seguito da un dibattito pubblico. L’assessore alle culture del Comune di Volterra, Dario Danti, ci riferisce di quanto discusso durante la visita dei rappresentanti delle istituzioni, coinvolte nella decisione di dare avvio ai lavori di costruzione. « Abbiamo costituito un tavolo permanente il 16 luglio scorso a Pisa nella sede della Sovrintendenza e in quell’occasione era stata decisa la data del sopralluogo in carcere (avvenuta il 2 agosto, ndr). Un’opera fondamentale quanto profonda e necessaria per valorizzare la Fortezza e per dare una sede stabile alla Compagnia. Sono già trascorsi quattro anni da quando è stato deciso di stanziare per la costruzione del teatro un milione e 250 cinquantamila euro riassegnati al biennio 2020 -’21. La mia formazione umana, prima ancora che culturale, deve molto alla Fortezza: ogni anno essere qui dentro è stato ed è un appuntamento imprescindibile. Ringrazio gli agenti, gli operatori e le direzioni che si sono succedute negli anni per la loro lungimiranza, per aver sostenuto un’idea così grande e aver contribuito in maniera determinante alla realizzazione di un carcere all’avanguardia, a livello internazionale, per le attività culturali e trattamentali. Dobbiamo tanto ai detenuti – attori e a chi, con loro, ha costruito con tenacia e visione un cammino di vita, un percorso d’amore e libertà. Dobbiamo ringraziarli non solo per quello che ci hanno donato, ma per quello che ancora non sono e vorrebbero essere. Ringraziarli, per quanto mi riguarda, significa anche chiedere loro scusa. Le istituzioni sono in forte debito verso Carte Blanche in tutti questi anni (l’attività della Compagnia della Fortezza è gestita dall’associazione culturale Carte Blanche la cui direzione artistica è affidata ad Armando Punzo e l’organizzazione generale è curata da Cinzia De Felice il cui ruolo è sempre stato indispensabile per garantire l’attività del teatro in carcere e in tournée, ndr), infatti, non sono riuscite a dare forma e corpo al teatro stabile in carcere. Io credo in un’idea politica della comunità in cui tutti devono avere il loro posto per potersi esprimere».
Al sopralluogo hanno preso parte la vicepresidente della regione Toscana Monica Barni, il garante dei diritti dei detenuti della regione Toscana Franco Corleone, l’assessore alle Cultura del Comune di Volterra Dario Danti, gli ingegneri della Sovrintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Pisa e Livorno, il provveditore alle opere pubbliche di Toscana Marche Umbria Marco Guardabassi, il vice provveditore del PRAP Rosalba Casella, architetti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, i vigili del fuoco, rappresentanti della fondazione Michelucci e per la compagnia della Fortezza, Armando Punzo e Cinzia De Felice.
La vicepresidente Monica Bardi ha dichiarato al termine della visita quanto deciso:«È stato convenuto che lo spazio più idoneo per la realizzazione del teatro è l’attuale area passeggi, a ridosso della Torre del Maschio (si trova all’interno della fortezza medicea costruita nel quindicesimo secolo, ai tempi del Magnifico, e per cinque secoli rimasta inaccessibile al pubblico, ndr). Insieme a tutti i soggetti coinvolti, ci metteremo a lavoro per arrivare nel più breve tempo possibile al raggiungimento dell’obiettivo. L’incontro ha finalmente sbloccato la situazione. Tutti i soggetti che hanno partecipato hanno dimostrato volontà di arrivare alla realizzazione del progetto per arrivare nel più breve tempo possibile al risultato finale. Il teatro consoliderà le attività teatrali, la cui metodologia, apprezzata a livello internazionale, ha modificato la vita all’interno del carcere, non solo per i detenuti, ma anche per tutti gli operatori. Sarà inviata una richiesta alla sovrintendenza di Pisa, da parte del provveditorato alle opere pubbliche Toscana Umbria Marche, dell’esecuzione di saggi archeologici preventivi nello spazio indicato».
Al sopralluogo è seguito il dibattito aperto al pubblico: “L’utopia del Teatro. Costruiamo il Teatro Stabile nella Fortezza di Volterra” a cui hanno partecipato Franco Corleone Garante dei detenuti della Toscana, (eletto senatore per due legislazioni, è stato anche sottosegretario alla Giustizia con la delega alla giustizia minorile e al carcere), Corrado Marcetti della Fondazione Michelucci di Firenze, Ettore Barletta dirigente dell’Ufficio tecnico del Dipartimento amministrazione penitenziaria, il regista Armando Punzo e l’assessore Dario Danti che spiega nei dettagli cosa avverrà nei prossimi mesi:«Per permettere la costruzione del teatro dovranno essere tolti i cancelli interni (dividono lo spazio esterno del cortile della fortezza, tra cui quelli che delimitano il “campino” (l’attuale palcoscenico all’aperto, ndr), e provvedere a livellare la pavimentazione esistente e costituita da pietre e in parte da cemento. Uno dei vincoli è rappresentato dalla tutela di eventuali reperti archeologici che potrebbero essere trovati se lo scavo andrà troppo in profondità e dall’impatto sopra con la cinta muraria. Si dovrà cercare un compromesso tra soprintendenza ai beni archeologici e quella paesaggistica». Un compromesso che dovrà tenere conto anche di altri aspetti non strutturali, architettonici o ambientali, ma non per questo meno importanti nel determinare la nascita del teatro in carcere.
Pareri anche politico – istituzionali la cui autorevolezza e responsabilità possono favorire o ostacolare la sua costruzione. Il primo ad esserne cosciente è lo stesso Armando Punzo. Sfogliando le pagine di “Un’idea più grande di me” (Conversazioni con Rossella Menna, Luca Sassella editore), racconta come ha affrontato per la prima volta trent’anni fa la richiesta di voler fare teatro in carcere e la riconoscenza per il direttore Renzo Graziani, deceduto per un banale infortunio nel 1997, al quale il regista deve tanto per aver creduto nel suo progetto di creare una compagnia teatrale e la scuola all’interno del carcere: «(…) in quegli anni il fatto che ci fosse uno che andasse di propria iniziativa in un carcere penale per fare teatro di ricerca potesse risultare quanto meno sospetto. Infatti, non ci credeva nessuno, né gli agenti, né i detenuti. I primi mi pensavano infiltrato dalla camorra, i secondi infiltrato dalla polizia. D’altronde, anche con il direttore Renzo Graziani, uomo illuminatissimo, ho cominciato a parlare davvero dopo due anni. Lui l’aveva sposata questa esperienza, era una persona difficile ma aveva una visione molto aperta. Il carcere di Volterra si regge ancora sul lavoro che ha organizzato lui trent’anni fa.
Ha formato un gruppo di agenti che hanno fatto propria la sua idea di istituto aperto: “Meno pennacchi, meno agenti, e più società civile dentro”». La società ora entra ogni anno e non solo nei giorni di spettacolo (tante altre sono le iniziative organizzate dal carcere) e i risultati sono diventati permanenti dove il clima che si respira entrando è quello di una collaborazione proficua e dove si svolgono azioni di vita quotidiana con maggiore serenità nonostante le restrizioni imposte. Lo aveva capito subito Armando Punzo quando ricorda nel suo libro cosa decise la prima volta, entrando in carcere: «Con gli attori abbiamo fatto un patto di sangue. Ho chiesto loro di non coinvolgermi in traffici illeciti, anzi di limitarli e di evitare il più possibile risse a teatro, perché questo avrebbe decretato subito la fine del nostro laboratorio. (…) Non mi preoccupavo soltanto dei traffici e delle risse, ma di quanto la vita violenta del carcere potesse prendere il sopravvento su tutto. La tranquillità, invece, rendeva possibile ottenere più spazio libero, più tempo e maggiori concessioni. Abbiamo cominciato a conquistare fiducia da parte dell’istituzione, della direzione, dei magistrati». Una fiducia che ha permesso alla Compagnia di mettere in scena in questi trent’anni ben 37 spettacoli dal 1988 in poi (restano indimenticabili “I Pescecani ovvero quello che resta di Bertolt Brecht”del 2003, “I Negri” del 1996, “Hamlice – Saggio sulla fine di una civiltà” , Marat Sade da Peter Weiss del 1993) conquistata a cara fatica anno dopo anno: «(…) Il teatro è zona franca ovunque. Era l’affermazione di uno statuto dell’arte anche lì dentro, in una selva. Ma andava spiegato, va spiegato. Le persone non ce l’hanno dentro per cultura che il teatro sia uno spazio dove si può agire con dinamiche inedite rispetto alla vita ordinaria. Il meccanismo della zona franca si è esteso dalla nostra cella – teatro (il teatrino Renzo Graziani dove nascono tutti gli spettacoli, un ex cella di tre metri per nove, ndr) a tutto il carcere».
Il regista ottiene sempre più fiducia e il cambiamento all’interno dell’istituto penitenziario (nei suoi primi anni di attività il carcere ospitava terroristi, detenuti per reati di mafia, esponenti di clan camorristici), ottiene dei benefici anche sulla salute dei carcerati: «Ledo Gori, il capo di gabinetto di Enrico Rossi che in quel periodo era assessore alla sanità della Regione Toscana mi disse: “Tu non lo sai, ma io ti conosco, conosciamo l’andamento del Carcere di Volterra dal fatto che non arrivano richieste di terapia, di psicofarmaci».
Un risultato che conferma quanto possa essere indispensabile creare le condizioni di vivibilità in un luogo di reclusione e anche il teatro può fare la sua parte come l’ha fatto in trent’anni di seguito. E la domanda perché ancora non è stato possibile costruire il teatro stabile diventa un interrogativo al quale sembra non esserci una risposta plausibile. A chiederlo è anche Franco Corleone, il Garante dei detenuti, nella sua petizione “Costruiamo il Teatro nella Fortezza di Volterra” pubblicata in Change.org
«Perché a Volterra questo non può essere possibile? (citando l’esempio del carcere di Marassi a Genova dove è stato costruito ex novo il Teatro dell’Arca di 200 posti, ndr). L’esperienza della Compagnia della Fortezza ha modificato geneticamente (l’espressione più verosimile alla percezione vissuta nel corso degli anni, ndr) un carcere che in passato era noto per la sua durezza e il suo isolamento. Ha attraversato lo spazio della pena (a confermarlo sono gli stessi attori che lo comunicano agli spettatori, ndr), la sua struttura e le sue funzioni (“oggi è diventato ordinario il regime delle celle aperte, per cui si può circolare liberamente all’interno dell’istituto dalla mattina alla sera, ad eccezione dei due momenti della conta.. “ – spiega Armando Punzo in “Un’idea più grande di me”, ndr), i suoi linguaggi e le sue relazioni, ha costruito ponti con la società esterna (migliaia di spettatori, ospiti, stagisti e studenti di ogni ordine e grado, programmi Rai come “I Dieci Comandamenti” di Domenico Iannacone con la puntata “Anime salve”, le centinaia di recensioni e articoli pubblicati sulla stampa di tutto il mondo, ndr), ha realizzato una metodologia di lavoro teatrale apprezzata e studiata a livello internazionale (il primo Centro Teatro e Carcere nasce per iniziativa di Carte Blanche nel 1994 in accordo tra Regione Toscana, Provincia di Pisa e Comune di Volterra e nel 2000 è stato firmato il protocollo d’intesa per l’istituzione del Centro Nazionale Teatro e Carcere con il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, la Regione Toscana, la Provincia di Pisa, il Comune di Volterra e l’Ente Teatrale Italiano, ndr). Ma ora occorre trasformare ancora, superare i limiti in cui la pratica artistica si è potuta svolgere, per raggiungere nuovi risultati con i detenuti e con la società».
Anime Salve Raiplay
Perché a Volterra questo non può essere possibile? Franco Corleone nel dibattito che si è svolto nel carcere al termine della replica dello spettacolo spiegando l’importanza della sua realizzazione: «Molti comprendono che si possa giocare l’impossibile e il teatro è la vita di questo luogo. Un’unicità e un rapporto nuovo che viene dalla direzione del direttore Renzo Graziani, dalla collaborazione tra la Compagnia della Fortezza e la Polizia Penitenziaria (percepibile anche da minimi gesti come la stretta di mano tra un agente di guardia e un detenuto, la presenza degli agenti agli spettacoli che assistono quotidianamente con interesse, la disponibilità nel l’accogliere le persone che entrano, ndr). Bisogna togliere molte superfetazioni brutte e il teatro farà togliere le cancellate. Uno spazio per immaginare libertà e la costruzione del teatro in un luogo che paradossalmente è mancanza di libertà, permetterà dei processi di liberazione. Il teatro è molto amato dai detenuti perché è una liberazione dalle “catene” (in questo carcere vivono attualmente 160 detenuti, ndr) e costruirlo in questo carcere deve diventare una realtà e non più un’utopia. La cultura libera tutti: detenuti e spettatori. Bisogna fare presto».
Ettore Barletta dirigente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha spiegato come il carcere di Volterra sia una «struttura monumentale e sottoposto a vincoli archeologici e paesaggistici e a fronte di un finanziamento statale il parere iniziale per costruire il teatro non era stato positivo. La struttura sotterranea della Fortezza è ipogea (luogo adibito in antichità a tomba o luogo di culto e in questo caso risalente all’epoca etrusca, ndr) ma il teatro è un servizio presente nella tradizione penitenziaria che si è ispirata agli anni ‘60 dove negli istituti carcerari sono stati costruiti sul modello che richiama lo spazio delle parrocchie romane dotate di sala-cinema-teatro. Dobbiamo tutti dimostrare il coraggio di perseverare». Corrado Marcetti della Fondazione Michelucci (porta il nome dell’architetto Giovanni Michelucci con “lo scopo di contribuire agli studi ed alle ricerche nel campo dell’urbanistica e della architettura moderna e contemporanea, con particolare riferimento ai problemi delle strutture sociali, ospedali, carceri e scuole“), si è posto la domanda a cui molti ancora non sanno dare una risposta esauriente: «È difficile comprendere come mai un percorso iniziato si fosse bloccato. Insieme al Garante dei detenuti della Toscana abbiamo riaperto la discussione alla luce di un finanziamento importante già previsto che non poteva andare perduto. Il cuore del progetto è il cortile teatralizzato da 30 anni di attività della Compagnia della Fortezza. Teatro che ha prodotto lavoro e benefici. Il teatro in carcere è un luogo non del tutto pubblico ma è della collettività. Non più teatro e carcere, carcere e pena ma teatro-carcere e meno pena».
Dello stesso avviso anche l’assessore Dario Danti: «ora si procede con un nuovo metodo e non essere arrivati alla realizzazione del teatro è un’inadempienza a cui tutti devono sentirsi responsabili». La parola poi è passata a chi vive da trent’anni questa condizione precaria di fare teatro senza lo spazio adeguato per provare, studiare e costruire uno spettacolo. C’è un po’ di amarezza e sconforto nell’intervento di Armando Punzo: «non sto cercando casa qui dentro ma quello che desidero è dare una spallata alla realtà. La conquista della cultura, della bellezza, non la si ottiene solo con la pace in modo pacifico. È terribile pensare a quello che si perde e io il teatro lo intendo come un modo per far fiorire la vita. In una stanza di tre metri per undici nasce il nostro teatro e mi sono dovuto occupare di problemi del carcere oltre quelli del mio lavoro di regista teatrale. Il paradosso è pensare che arte-bellezza-cultura si faccia in un luogo terribile. Il teatro ha aperto questo istituto ma è stato circondato anche da tante altre attività e si riduce lo spazio per poterlo fare. Serve anche per fare formazione ai mestieri del teatro e scuola tra agenti, detenuti e cittadini. Una casa di custodia attenuata e permettere di far vivere da ex detenuti nonostante siano in carcere per farli sentire liberi».
Armando Punzo «La Fortezza deve guadagnarsi il suo spazio in continuazione, si ricomincia da zero tutte le mattine. Trent’anni non contano niente. Se non si rigenera veramente in tutta la sua potenza, il teatro qui muore in un attimo. Ho avuto bisogno di cercare la via di uscita dove sembra tutto chiuso. Penso che sia una buona indicazione in generale. Le battaglie senza fine misurano la determinazione. Sono arrivato mille volte ad accarezzare fino in fondo l’idea di andare via, mentre ci pensavo stavo già facendo la salita per varcare il cancello ed entrare».
Foto: GUIDO MENCARI (apertura) STEFANO VAJA (foto interne)