Che la diffusione del linguaggio dell’odio sia un problema per l’Italia e dell’Italia ce lo dice l’ultimo Rapporto sulla missione dell’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite nel nostro Paese, da poco pubblicato. Una missione incentrata proprio sulle questioni della discriminazione razziale e sull’incitamento all’odio. Il documento traccia un quadro preoccupante di un Paese, segnato nel 2018 da un forte incremento degli episodi di discriminazione e tuttora da una persistente mancanza di attenzione e di analisi del fenomeno nel suo complesso da parte delle istituzioni. A colpire è soprattutto il capitolo sull’incitamento all’odio razziale alla discriminazione e alla violenza. Nel Rapporto, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite evidenzia l’emergere di discorsi razzisti basati su stereotipi negativi contro i migranti, i musulmani, le persone di origine africana, le comunità rom, sinti e caminanti. E ciò avviene – si legge nel documento – soprattutto nei discorsi politici e nei media: a incoraggiare la crescita dell’intolleranza, dell’odio religioso e della xenofobia sono alcuni leader politici e talvolta gli stessi membri del Governo. Sicurezza e difesa dell’identità nazionale, sono le parole chiave di tali discorsi, che si fondano sulla criminalizzazione della migrazione e sul principio “prima gli italiani” di fronte alla crisi economica. Un modo – si legge nel Rapporto – per rendere la discriminazione razziale socialmente più accettabile. Le conseguenze sono evidenti: una escalation di «hate incidents» contro singoli o gruppi per motivi etnici, del colore della pelle, della razza o dello status di immigrato.
Le stesse leggi, in alcuni casi – secondo il Rapporto dell’Alto Commissario ONU – contribuiscono a rafforzare tale clima, come nel caso del ‘decreto sicurezza’ che stabilisce una relazione tra immigrazione e sicurezza, «rafforzando in tale modo una percezione discriminante che stigmatizza e associa i migranti e le minoranze alla criminalità». Così come preoccupa la campagna contro le associazioni della società civile impegnate nelle operazioni di soccorso nel mare Mediterraneo, campagna che il documento definisce diffamatoria. Tutto ciò non può essere ricondotto a singoli casi. Il linguaggio dell’odio, riporta il documento, è stato ‘normalizzato’ e la manifestazione dell’odio è divenuta accettabile. Perché questo linguaggio è nello stesso tempo espressione ed elemento costruttore di culture diffuse. Ed è proprio sul piano culturale che occorre agire, restituendo significato alle parole, rimettendo al centro le persone, ognuna nella sua singolarità, ricordando che i diritti non sono mai dati una volta per tutte, ma vanno tutelati e rafforzati, va fatta memoria della sofferenza e delle battaglie che sono dietro alla loro conquista. La diffusione di una cultura dei diritti è uno dei terreni su cui si gioca la sfida della prevenzione e della tutela delle persone più vulnerabili. Un terreno su cui sono chiamati a contribuire tutti: le istituzioni pubbliche, le organizzazioni della società civile, il mondo della cultura e dei media. A cominciare dal linguaggio.