Il 20 Agosto 1799 Eleonora Pimentel Fonseca viene impiccata per il suo impegno di libertà nella breve e gloriosa vita della Repubblica Napoletana. La sua storia mi ha sempre affascinato, da quando ho letto il libro di Enzo Striano “Il resto di niente”. Che ne segue tutte le vicende, dalla partenza da Roma, dove era nata, fino alla sua formazione a Napoli, città che ama e che vuole cambiare, mettendo a servizio del popolo oppresso la sua enorme cultura e i suoi profondi ideali di libertà.
Questa biografia, più di altre, fa capire che il ruolo di un intellettuale – oggi denigrato a radical-chic – è impegno nel capire la complessità, per renderla chiara a chi ha meno strumenti di indagine, con dichiarazioni pubbliche. Il colto che coltiva per sé l’approfondimento, ma senza mai denunciare gli inganni del potere, non è un intellettuale. Ce ne sono molti, chiusi in circoli di amici, che si scambiano osservazioni, spesso di pregio, ma senza mai esternarle con un documento pubblico, rimanendo così nell’onanismo analitico.La Pimentel, invece, capì subito che la comprensione è un atto politico solo se si propaga tra sconosciuti. Fondò un giornale, il Mentore Napoletano, espose in pubblico il suo pensiero, partecipò attivamente alla lotta e alla resistenza per la Repubblica Napoletana, fino al sacrificio supremo della vita. Come estremo oltraggio, le negarono la decapitazione riservata ai nobili, ma neanche con questa umiliazione la domarono. Prima del tiro mortale della fune, cita una frase di Virgilio “Forse un giorno, gioverà ricordare tutto questo”. Sì, Eleonora, ricordare la tua vita, la tua morte – dopo 220 anni – ci fa bene: ci dà la forza per continuare a capire, denunciare pubblicamente, insistere.