Le mafie albanesi esprimono una delle più elevate capacità criminogene a livello internazionale, poiché riescono a fondere caratteri “tradizionali” (rigida disciplina interna, chiusura a terzi, impermeabilità, affidabilità e alto potenziale intimidatorio) con elementi “moderni” (transnazionalità, imprinting economico e stretti contatti con la politica). La loro potenza economica e militare proviene quasi tutta dal traffico di stupefacenti con l’Europa e in special modo con la criminalità organizzata italiana. Nell’ultimo decennio le mafie albanesi hanno raggiunto un livello stabile d’integrazione basato sulla fisiologica assunzione di modelli organizzativi “sui generis”. La loro struttura organizzativa è assimilabile alla ‘ndrangheta ed è composta sempre da un insieme di famiglie legate dal vincolo di sangue. Il narcotraffico, come già detto, è l’attività criminale privilegiata tanto che l’Albania è stata ribattezzata “Kanabistan” per la grande produzione di marijuana che è esportata in Italia e in Unione Europea, ma anche per lo smistamento della cocaina proveniente dal Sud America e per l’eroina che invece arriva dal Medio Oriente.
La criminalità organizzata albanese resta l’organizzazione straniera tra le più attive e ramificate in territorio italiano (Relazione DIA, 2018) di là da diverse e importanti operazioni di polizia (quasi tutte antidroga) concluse nel corso del 2018 con arresti e sequestri. Non c’è regione che, direttamente o indirettamente, sia immune dalla presenza della criminalità organizzata albanese. A questo punto dobbiamo chiederci come mai questa mafia al tempo stesso grezza e moderna è così potente?
L’Albania è un caso unico in Europa, poiché molti trafficanti non sono fuorilegge ai margini della società, ma hanno legami con la classe politica e spesso sono collusi con le forze dell’ordine e con la magistratura che in teoria dovrebbero contrastarli. Non è un caso che Transparency International indichi l’Albania come il Paese più corrotto di tutta l’area balcanica. Il Parlamento e il Governo sarebbero inquinati dalle mafie e i proventi derivanti dal narcotraffico costituiscono una parte essenziale del sistema economico e politico: il modo migliore per assicurarsi i voti delle persone è pagarle in contanti, e la fonte migliore di produzione del denaro proviene proprio dal mercato degli stupefacenti.
L’esempio più calzante del nostro assunto che comprova, di fatto, la vicinanza tra la politica albanese e i boss del narcotraffico è Clemente Balili, ex funzionario pubblico, da molti conosciuto con l’appellativo di “Pablo Escobar dei Balcani.” Un dossier della polizia greca in collaborazione con quella statunitense, ricostruisce in dettaglio il suo impero che varrebbe circa un miliardo di dollari e che si snoda tra Italia, Grecia, Olanda, Germania e Regno Unito. La scalata di Balili è coincisa con la crisi economica dell’Albania negli anni Novanta. Il boss mafioso ha costruito una serie di hotel di lusso a Saranda sulla splendida costa adriatica dell’Albania. Nel 2015 Ilir Meta, attuale presidente dell’Albania, ha tagliato il nastro all’inaugurazione di uno dei tanti hotel a cinque stelle di Balili. Insieme a Meta e Balili, alla cerimonia di apertura c’erano l’allora ministro delle finanze Arben Ahmetaj e il deputato del partito socialista Koco Kokëdhima. Lo stesso Balili ha parlato spesso dei suoi legami con alcuni partiti politici albanesi. La polizia greca e quella americana hanno dato la caccia a Balili per oltre dieci anni. Ogni volta che sembrava si potesse arrivare al suo arresto, le autorità albanesi ostacolavano le indagini.
Nel maggio 2016, ad esempio, i greci, in collaborazione con la Dea, avevano arrestato alcuni membri della cosca Balili e sequestrato alcune tonnellate di marijuana. Le forze dell’ordine albanesi non hanno però eseguito il mandato di cattura, perché secondo loro Balili si era reso irreperibile nel territorio albanese. A dimostrazione degli stretti legami tra mafie e politica, solo tre mesi dopo, Balili è stato fotografo dalla Dea con un alto ufficiale della polizia su un yacht al largo delle coste albanesi. La collusione di Balili con il potere politico è ovviamente la chiave del suo successo come narcotrafficante. Tutto ciò ha indisposto non poco le autorità politiche europee e internazionali che hanno addossato al Governo albanese il fatto di non riuscire ad arrestare questo potente boss del crimine organizzato con agganci politici importanti. Per porre freno a un’eventuale emarginazione dell’Albania dallo scacchiere europeo, magicamente, a gennaio di quest’anno, la polizia albanese ha finalmente arrestato Balili. Gli esperti considerano il suo arresto, una mossa per continuare ad avere buone relazioni del governo albanese con l’Unione europea. Balili ha in realtà dettato le condizioni della sua cattura: si è consegnato direttamente, e i suoi avvocati hanno comunicato l’orario del suo arrivo al ministro dell’Interno e alla magistratura.
A causa di un cambiamento nella Costituzione non è stato estradato in Grecia, e sarà processato in Albania. Un mese dopo la Corte, per i reati gravi da lui commessi, ha accettato la sua richiesta di accedere al rito abbreviato, che riduce la pena di un terzo. Il 7 maggio è stato condannato a dieci anni di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti, associazione per delinquere e riciclaggio di denaro. Il suo avvocato ha già annunciato che ricorrerà in appello, dove potrebbe vedersi ulteriormente ridotta la pena irrogata in primo grado e c’è chi dice possa essere addirittura assolto. Una cosa è certa, Balili ha investito enormi quantità di denaro nell’economia albanese. Ha avviato moltissimi progetti edilizi e dato lavoro a tante famiglie, quindi in Albania è visto come un benefattore e non come un mafioso. Per porre freno a questi fenomeni pericolosissimi che si moltiplicano di giorno in giorno in Albania, il governo dovrà attuare nel prossimo futuro serie modifiche al codice penale e di procedura penale, per rafforzare le misure repressive nei confronti dei membri delle organizzazioni mafiose. Il modello cui ispirarsi è senza dubbio quello di lotta contro la mafia italiano. Occorrerà, quindi, rafforzare la sicurezza delle carceri; combattere la criminalità organizzata e le connessioni con la politica e il mondo economico; lottare con efficacia la corruzione; utilizzare il totale isolamento dei detenuti pericolosi, per impedire la loro comunicazione all’esterno con le organizzazioni criminali; rendere più efficace il sistema dei sequestri e delle confische dei beni ai mafiosi. Un altro dei problemi che l’Albania dovrà affrontare è il suo sistema giudiziario che va riformato e migliorato salvaguardandolo soprattutto da corruzione e ingerenze politiche che ne minano la credibilità e la efficacia.
Vincenzo Musacchio, giurista e presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise