l ministro dell’Interno turco Süleyman Soylu e il governatorato di Istanbul hanno messo in atto una caccia ai migranti irregolari in Turchia, secondo la stampa locale a farne le spese anche i siriani che godono di “protezione temporanea”
È iniziata così ufficialmente la caccia al siriano – e non solo – ad Istanbul, dopo che, invero, già da mesi il ministro dell’Interno turco, Süleyman Soylu, ha proclamato una vera e propria lotta ai migranti irregolari in Turchia, con l’obiettivo esplicitato in più di un’occasione di espellerne almeno 80 mila entro la fine dell’anno.
Il risultato combinato del piano varato dal ministero e dal governatorato di Istanbul è stato una vera e propria caccia all’uomo da parte delle forze dell’ordine, scatenata nei quartieri e nei luoghi di lavoro con più alta concentrazione di siriani sotto “protezione temporanea”, uno status attribuito da Ankara ai profughi siriani, a causa della riserva geografica posta dalla Turchia alla Convenzione di Ginevra.
Negli ultimi giorni gli stranieri trovati senza documenti, sono stati prelevati con la forza, ammanettati e trasportati in maniera coatta nei centri di identificazione ed espulsione. Il ministro dell’Interno Soylu, ha reso noto che queste operazioni hanno interessato finora circa 6.120 persone. In particolare sarebbero stati “catturati” 2.691 afghani, 1.619 pakistani e “solo” mille siriani.
Nonostante il ministro abbia categoricamente escluso che le espulsioni potevano coinvolgere i siriani sotto protezione temporanea o gli stranieri con status di protezione internazionale, sulla stampa locale sono circolate notizie riguardo a 400 siriani spediti a Idlib.
In particolare, Euronews ha pubblicato una notizia su Amjad Tablieh, un liceale siriano regolarmente registrato e residente nel quartiere Avcılar di Istanbul, che sarebbe stato trovato senza documenti durante un controllo della polizia per poi essere spedito nella provincia siriana. La storia di Amjad ha avuto una grossa risonanza, grazie anche e soprattutto alla denuncia del fratello, che ha raccontato a Euronews di aver raggiunto il centro di identificazione dove era stato portato il fratello per mostrare alla polizia i documenti di Amjad. Nonostante ciò il giovane non sarebbe stato rilasciato ma, al contrario, la procedura di espulsione sarebbe andata avanti spedita, con l’epilogo del rimpatrio forzato ad Idlib, nella zona sotto il controllo di al-Nusra.
L’arbitrarietà dei fermi di polizia e l’incostituzionalità dei rimpatri coatti sono state denunciate non solo dalla nutrita comunità siriana di Istanbul, ma anche da diverse associazioni di solidarietà con i migranti e in difesa dei diritti umani. Gli abusi sono stati in molti casi ripresi con video e foto, diventando virali sui social e attirando l’attenzione delle principali testate giornalistiche indipendenti del Paese.
Sulla stampa sono inoltre apparse notizie che raccontano casi di siriani costretti a firmare un documento interamente scritto in lingua turca, nel quale attesterebbero la loro “autonoma” decisione di rimpatrio volontario in Siria.
Circostanze che hanno spinto la comunità siriana e le associazioni solidali ad alzare la voce per denunciare gli abusi in atto, con l’intento di convocare sit-in e manifestazioni, le quali, però, ha fatto già sapere direttamente il ministro dell’Interno Soylu, non saranno autorizzate e tollerate dalle autorità.
L’attivismo del ministro in questa fase è particolarmente evidente se si considera anche l’ordine che ha impartito ai commercianti siriani, presenti in gran numero in diverse città del Paese, di eliminare i riferimenti in lingua araba dalle insegne dei propri negozi. La polizia sta già intervenendo in una delle città più popolate da siriani nel Paese, Gaziantep, per rimuoverle con la forza, affiggendo, al posto delle insegne in lingua araba, la bandiera turca.
Sintomi questi di un clima di tensione, già molto alto, e che è certamente destinato ad aumentare in riferimento alla questione migranti in Turchia. Secondo alcuni osservatori si tratta di un clima scatenato ad arte dal governo turco in seguito alla recente disfatta elettorale alle elezioni municipali di Istanbul. Il 23 giugno scorso le urne hanno decretato una sonora sconfitta del partito di Erdoğan, superato dal candidato del CHP Ekrem İmamoğlu che ha ottenuto il 54% dei consensi. Diverse associazioni hanno sottolineato come ora il conto della sconfitta lo stiano pagando i rifugiati, complice la forte crisi economica e l’intolleranza diffusa nella società turca contro “gli ospiti” siriani.
Lo scatenarsi della “caccia al siriano” si verifica, tra l’altro, negli stessi giorni in cui viene annunciata dall’Unione Europea un’ulteriore tranche miliardaria dei finanziamenti sanciti dagli accordi stipulati proprio per “gestire” la cosiddetta crisi dei rifugiati siriani.
Questi ultimi dopo essere stati usati dalla Turchia come strumento di pressione nei confronti dell’UE, nonché come fattore per aumentare la propria influenza nello scacchiere siriano, diventano terreno di propaganda anche nella politica interna.