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Il Vangelo secondo don Matteo

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Ieri pomeriggio, durante il dibattito al Senato, Matteo Renzi ha sbugiardato Matteo Salvini citando alcuni versetti tratti dal Vangelo. “Secondo Matteo”, ovviamente! Ora, a parte le battute ed uscendo fuori da ogni metafora, i due burattini di nome Matteo (Renzi & Salvini), protagonisti del teatrino politico nazionale, non mi pare che esprimano la stessa cosa dal punto di vista di un’analisi marxiana, ovvero sotto il profilo della classe sociale di riferimento. Entrambi sono senza dubbio due risvolti della stessa medaglia. Il primo, Renzi, è l’espressione del Capitale monopolista delle multinazionali, del grande Capitale cosmopolita, anonimo e globalista dell’alta finanza internazionale: guarda caso, il Partito Democratico, dopo il disastroso crollo del Ponte Morandi di Genova, si arroccò in una posizione di difesa strenua delle concessioni delle autostrade italiane al gruppo multinazionale Benetton, e si  schierò contro la minaccia di revoca paventata dal governo giallo-verde. Il secondo, Salvini, è il referente della media e piccola borghesia nazionale, rappresenta gli interessi materiali e le franchigie residuali della piccola e media imprenditoria del Nord Italia. Per cui entrambi i Matteo non mi pare che incarnino esattamente la medesima cosa. Sotto il profilo strategico-politico, suppongo che lo stesso Lenin avrebbe valutato diversamente i due esponenti politici in funzione proprio della strategia di lotta delle classi lavoratrici. Da parte mia, ritengo che, in questa fase storica, gli scopi e gli interessi concreti di gran parte delle masse popolari e lavoratrici del nostro Paese, coincidano con una battaglia ed una rivendicazione a netto favore del ripristino di quella sovranità popolare, democratica e costituzionale che va ristabilita sul terreno nazionale. Senza mai smarrire, né sminuire quella prospettiva rivoluzionaria di respiro internazionale ed internazionalista. Quindi, nell’ottica dell’internazionalismo proletario e comunista, e non del “globalismo” capitalista, mercantile e neoliberista, di cui il Matteo toscano e “democratico” (vale a dire quello “buonista”) è tra i referenti politici di maggior rilievo. Per quanto mi riguarda, sono entrambi assai detestabili. Eppure, il Matteo da Rignano sull’Arno si è rivelato di gran lunga l’esemplare peggiore fra i due. E non per gli aspetti più folcloristici (diciamo così), minimalistici ed esteriori, bensì per altri motivi, assai più solidi e concreti. Entrambi li abbiamo visti all’opera in azioni di governo: Renzi ha dimostrato di essere il peggiore dei due proprio con i fatti, i provvedimenti e con le misure adottate sul terreno delle politiche sociali ed economiche, rivelatesi antipopolari ed ostili ai lavoratori: il Jobs Act, lo Sblocca Italia, la Buona Scuola e via discorrendo, tutte quelle “schiforme” che hanno smantellato ed azzerato in pochi anni i diritti e le tutele sociali residuali delle classi lavoratrici del nostro Paese.

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