Quarantacinque anni dalla tragedia del treno Italicus, esploso nella notte fra il 3 e il 4 agosto 1974 all’altezza di San Benedetto Val di Sambro, con il suo carico fetido di dodici morti e l’amara sensazione di una scia di sangue iniziata nel dicembre del ’69 con la strage di Piazza Fontana e proseguita a Brescia con la strage di Piazza della Loggia, due mesi prima di quest’ennesimo capitolo di una strategia, detta per l’appunto della tensione, che è fra le cause principali della perdita di credibilità della politica.
Servizi collusi, logge massoniche, poteri occulti, trame spregevoli, segreti, misteri, attentati e violenze d’ogni sorta resero, infatti, l’Italia una terra di frontiera, un enorme far west senza Stato né legge, un insieme disordinato di odi, rancori e devastazioni dal quale scaturirono gli opposti estremismi e a causa del quale si persero quel tessuto sociale e quegli ideali residenziali che, fino a quel momento, avevano tenuto insieme il Paese.
Quarantacinque anni, dopo che lo scorso 2 agosto abbiamo ricordato il trentanovesimo anniversario della strage di Bologna, culmine della barbarie e capitolo ancora oscuro di una saga di morte e terrorismo che affonda le proprie radici in una precisa volontà, non solo italiana, di annientamento della sinistra e dei suoi valori.
Dopo quella stagione, non a caso, nulla sarebbe stato più come prima, il reflusso avrebbe spazzato via gli ideali e la passione civile sarebbe stata soppiantata dalle dispute post-ideologiche sui programmi del Biscione e sui falsi idoli di un consumismo sempre più asfissiante.
Degli anni Settanta, della loro scia di sangue, di ciò che hanno rappresentato per un’intera generazione e delle vite che si sono portati con sé non è rimasto, forse, nemmeno il ricordo. Solo il rimpianto e un dolore impossibile da descrivere a parole, insieme alla nostalgia per un tempo in cui, nel bene e nel male, si credeva ancora in qualcosa.
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