Ancora un situazione di stallo di una nave che ha effettuato un attività di soccorso in mare rispetto all’individuazione del luogo di approdo. Un’impasse che ha un impatto rilevante sui diritti fondamentali delle persone soccorse, impossibilitate allo sbarco e in quanto tali impedite nella propria libertà di movimento, ed esposte al rischio di trattamenti contrari sia al senso di umanità sia alla dignità delle persone stesse.
È quanto scrive il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale all’Ammiraglio Giovanni Pettorino, Comandante Generale della Guardia Costiera Italiana, rispondendo a una richiesta di intervento avanzata dai responsabili della “Foundacion Proa (Pro-activa Open Arms)”.
Il Garante nazionale rileva innanzitutto come sia alta la responsabilità dei partner europei relativamente alla situazione che si è determinata, in particolare della Spagna, essendo la nave battente bandiera spagnola, e di Malta che ha rifiutato l’approdo. Tuttavia, a parere del Garante, la situazione in atto può e deve essere vista come ambito di competenza giurisdizionale del nostro Paese, nonostante la sua presenza in acque internazionali, ma in virtù del preventivo divieto d’ingresso nelle acque nazionali notificato dalle Autorità italiane il 1° agosto. L’interdizione all’ingresso costituisce esercizio della sovranità e implica che ai migranti soccorsi e a bordo della nave debbano essere riconosciuti tutti i diritti e le garanzie (divieto di non refoulement, diritti dei minori stranieri non accompagnati, diritto di protezione internazionale, …) che spettano alle persone nei confronti delle quali l’Italia esercita la propria giurisdizione.
Il Garante nazionale sottolinea la preliminare valutazione delle vulnerabilità effettuata dalla Guardia costiera italiana, in esito alla quale sarebbe stata disposta l’evacuazione di tre donne, di cui di cui due in stato di gravidanza. Una azione meritoria che comunque è indicativa di una “presa in carico” della situazione delle persone ospitate, di elementi valutativi effettuati direttamente o riconosciuti validi se effettuati dai responsabili a bordo, di conseguenti azioni: «tutto ciò determina l’assunzione di una complessiva responsabilità, che è fattore determinante per ogni accertamento delle eventuali successive azioni omesse o compiute. Una responsabilità che ne configura una forma di esercizio di giurisdizione».
È a partire da tali premesse che il Garante ravvisa il duplice rischio di violazione del principio di non refoulement e del divieto di espulsioni collettive. Riguardo al principio di non refoulement, il Garante evidenzia come a seguito del divieto di ingresso in acque territoriali da parte delle Autorità italiane e dell’omologo divieto di approdo di quelle maltesi, per i migranti soccorsi è forte il rischio del loro ritorno nel luogo da cui sono partiti, la Libia (dichiarata dallo stesso Ministro degli esteri, Enzo Moavero Milanesi un porto non sicuro).
Sottolinea il Garante che il divieto di ingresso può essere visto come azione di respingimento collettivo delle persone soccorse, se esercitato – come in questo caso – senza un preventivo esame delle condizioni individuali delle stesse. Tra l’altro, nel caso del secondo intervento di salvataggio operato dalla “Open Arms” lo scorso 2 agosto, risulta addirittura antecedente alla salita a bordo delle persone stesse.
Su questa base il Garante nazionale ha chiesto informazioni e chiarimenti al Comandante generale.