Metamorfosi di un istrione? E’ possibile da gran “cazzaro” esagitato, “rustego” sbraitante senza il placet del Ruzante, Beppe Grillo si stia trasformando in sapido filologo dello spettacolo “per il volgo”? Da arruffapopolo congestionante ed isterizzante a divulgatore della memoria del teatro? Bautta vaticinante, imperturbabile, carnevalesca – ma di squisito e irrefutabile lignaggio. Bene, bravo, bis…a patto di non farsi ripetitivo e limitare la sua ‘panica epifania’ a quanto esibito, alla chetichella (ma con perfetta immedesimazione tonale e badiale) in una mini-diretta facebook messa in circolo stamani per affiliati, discepoli, curiosi d’ogni risma (noi fra gli altri, e per puro caso).
Scalmanato, scalcinato, buono a far ridere i polli nella sua versione di capo-brevetto dei “vaffa urbi et orbi”, questa volta il Grillo della Lanterna il suo colpo di teatro l’ha centrato in pieno, ricavandone la sua bella e pomposa figura: cogente divulgatore – con filologica e iconografica precisione- del Teatro Antico, di derivazione ellenica e romana. Con particolare omaggio alle maschere atellane e al repertorio di Menandro, che si distingueva da Aristofane (prima) e da Plauto (poi) per una sua ‘olimpica’ pacatezza applicata alle più umili vicende terrene- così come (personalmente) ebbi modo di attingere alla lezione dell’indimenticato Mario Prosperi. Il quale, educatissimo e melanconico, soggiungerebbe “non allargarti amico”.
Conciato come padre Zeus, fornito di mascherone carnascialesco-idrocefalo, e di poco intravedibili coturni (poiché assiso alla ‘panca del sapere umbratile’), Beppe Grillo ha così impartito-senza alcun preavviso: bene!- la sua lezione di teatro ‘alto’ nel teatrino squallido della quotidianità banale e strombazzante: tentennante se chiudere bottega e “ridare la parola al popolo” (ma dai…!) ovvero arrovellarsi in nuove alleanze (ircocerve) con respiro da bagniasciuga o di altri accrocchi ‘estendibili’ alla (già) disastrata legislatura.
Non entro nel merito (non si capiva nemmeno) di quanto Beppe Grillo bofonchiasse sotto il mantello del Deus ex machina, del Convitato di pietra-pietrificato, aizzato e anfanante alle più spurie alleanze pur di restare in partita.
Quello che più divertiva era immaginare, alla fine del corridoio da cui trasmetteva, una discesa all’Ade (senza più ritorno?) un po’ per celia, un po’ per spauracchio. Più o meno come, se ben ricordo, accedeva nella burla dei Campi Flegrei inflitta al tirchissimo Totò di “47, morto che parla” per una sorta di ‘memento mori’ di cui il Principe De Curtis era scaramantico adepto. Senza mai omettere, da antico gentiluomo, “per carità..non oserei…prima tocca a lei”. E Grillo invece?