Nulla di vistoso, ieratico, artificiosamente sermoneggiante (o scenograficamente ad effetto) in questo reading drammaturgico-letterario cui Glauco Mauri e Roberto Sturno ritornano, in tournée estiva (e probabilmente anche invernale), dopo alcune serate di collaudo patrocinate lo scorso anno dall’Università Roma Tre, adesso rilanciate (in ambito produttivo e promozionale) dal Teatro Arcobaleno di Roma e dal Festival di Formia.
Viceversa un “intrattenimento”, un “simposio” del pensiero e dell’immaginazione ancestrale traslata alla contemporaneità, ove due assolute, indefettibili eccellenze del teatro Italiano- Mauri e Sturno, appunto- danno vita, nel culto della sobrietà, ad una lettura-spettacolo intensa e suggestiva per “meglio approfondire” non tanto il “mistero” del Personaggio, quanto le radici, la “necessità”, le ramificazioni di un archetipo (di colpa, potere regale, filiazione contorta) profondamente radicato nella cultura occidentale e universale, “fonte di ispirazione della poesia greca e della letteratura di tutti i tempi”- come lo stesso Mauri ci prega di sottolineare.
Presto dimostrato: fior di autori, classici e contemporanei, si sono misurati con la riscrittura (appassionata, provocatoria, persino ‘revisionista’) della figura di Edipo e dei “mille fardelli” di cui sa essere espressione, tragico vettore, inesauribile allegoria. A prescindere (o in subordine) dalla lezione sofoclea, “Edipo Re” è stato, ad esempio, musicato da Igor Stravinskij, così come altri musicisti d’alto rango hanno scritto le musiche di scena per “Edipo a Colono”: due tragedie-architrave di quell’unico “soffio” ellenico che “tocca gli strati più profondi della natura umana”.
Edipo infatti: il primo parricida della storia a noi pervenuta è, al contempo, vittima del Fato e dei suoi “sordidi capricci”; la sua onestà intellettuale e morale lo porta (primo esempio di ‘detection story’ della letteratura di tutti i tempi) a cercare ostinatamente “la verità” e tutto ciò di tremendo che la sua ambivalenza comporta. Cieco e infelice, auto.esiliatosi da quella Tebe che ne segnò la Grandezza (effimera) ed il Tracollo (comune ai mortali), alla fine del suo lungo cammino il Personaggio “comprenderà se stesso” (l’essere e il nulla?), ovvero quel tremendo miscuglio di luci, tenebre, linee d’ombra che l’indovino Tiresia lo sconsigliava di oltrepassare. Ma che -adesso- vivono “dentro di lui”, rendendo operativo e definitivo, per sua tossica sorte, il diritto (di ciascuno) alla libera responsabilità del proprio scegliere, osare, agire.
In un sapiente e ben architettato tracciato (ed ‘intreccio’) di evocazioni ed eloquio, vivida cultura, reminiscenze di un lungo percorso attorale, i due interpreti offrono una analitica, filologica, emozionante lettura di brani tratti dall’imprinting sofocleo e , a seguire, da “La morte della Plizia” di Friedrich Dürrenmatt, “Edipo” di Seneca, La guerra del Peloponneso di Tucidide (libro II), “La macchina infernale” di Jean Cocteau. Integrando e arricchendo i momenti drammaturgici con gli inserti musicali a cura di Giovanni Zappalorto, eseguiti dal vivo (e alla tastiera) dallo stesso autore e da Francesca Salandri al flauto. Rendendosi impalpabile come porporina, il coordinamento, scandito al millimetro, fra parole e musiche, che è curato da Andrea Baracco.
Note a margine, appunti, associazione di idee (del tutto personali) che si abbinano alla visione di “Edipo.Il Mito”
-L’irrompere del Male (cfr l’inedita “Difesa di Caino” di Andrea Camilleri) come ‘strappo’, perdita di primitiva innocenza: epica (illusoria, mistificante) armonia, ‘primitiva’ e pre-genetica, fra uomo, divinità e natura. Chi fu il primo ad avvedersene? Probabilmente Platone quando teorizzava “la molteplicità della Diade” (dal momento in cui la libertà di ciascuno sconfessa, ed è via di fuga, dalla fetale prigionia della Caverna delle ‘ombre ignare’)
– E se invece “fossimo rimasti” a trastullarci nei Giardini dell’Eden, difesi dai Cancelli del Cielo, ma suoi ostaggi ignari e vezzeggiati? L’antropologia evoluzionista ci dimostra che è impossibile o sarebbe stato da puerili cronici.
– Il “Molto” è parte del “Tanto” (lo versificava persino De Andrè), ma a noi il “Tutto” resta ignoto, come la giovanile irruenza di Edipo che, per un diverbio da tre soldi, ad un crocevia, aveva fatto fuori (non sapendo che fosse tale) l’anziano padre Laio, colpevole a sua volta di avere rinnegato (e da se allontanato) quel dannato figliolo di cui i veggenti avevano profetizzato “sarà il tuo assassino”. E così fu.
– Per ultimo: il sentimento della impermanenza del mito, la necessità della sua metamorfosi (circolare?) umana e poetica, senza la quale non resterebbe che lo stereotipo e la ripetitività (stantia) del peggior formulario freudiano. Con il debito rispetto al ‘nevroticissimo’ padre della psicanalisi. Di cui, e infatti, Carl Gustav Jung, meno ‘ortodosso’ e più eccentrico, fu il primo a dubitare.
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EDIPO – IL MITO
da Sofocle, Seneca, Tucidide, Durrenmatt, Cocteu
A cura di Andrea Baracco
Con Glauco Mauri e Roberto Sturno
E con Giovanni Zappalorto (pianoforte) e Francesca Salandri (flauto)
Area Archeologica di Caposele\ Festival del Teatro Classico di Formia (diretto da Vincenzo Zingaro)