E finalmente la bestemmia in democrazia – oscena come un cane in chiesa – Salvini l’ha detta. “Pieni poteri” ha chiesto agli italiani nel suo comizio di Pescara del 9 agosto scorso evocando così quel “discorso del bivacco” che Benito Mussolini pronunciò nel novembre del 1922, nel suo primo discorso da Presidente del consiglio incaricato, come l’Espresso ci ha ricordato in questi giorni.
Può essersi trattato di un lapsus dicendi, di una voce dal sen fuggita di metastasica memoria, di un nescit vox missa reverti per dirla, invece, con Orazio o di un j’è slittata la frizzione per dirla col plebeo di quirina origine? Sarebbe ingenuo il solo pensarlo e la legge “Sicurezza bis”, appena approvata con la complicità di quei sempliciotti dei Cinque Stelle, sta a dimostrarlo, ove non bastassero tutte le altre manifestazioni già rese in adesione all’estrema destra: dai voti ricevuti da Casapound sin dalle elezioni europee del 2014, alla comune predicazione dell’uscita dall’euro; dalla “tolleranza zero” nei confronti dei migranti, alla diffusione della paura per l’invasione etnica che minaccia l’italica razza.
Basta leggere, in proposito, i primi articoli del Sicurezza bis. Al Ministro dell’interno viene attribuito il potere di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale. Il comandante della nave è assoggettato ad una sanzione da 150 mila euro fino a un milione “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane”. Ulteriori fondi vengono assegnati per la lotta all’immigrazione clandestina: Euro 500 mila per il 2019 che salgono a 1 milione per il 2020 e a 1,5 milioni per il 2021. Un nuovo reato (non bastavano quelli esistenti!) è stato coniato e vi incorrerà “chi, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, utilizza – in modo da creare concreto pericolo a persone o cose – razzi, fuochi artificiali, petardi od oggetti simili, nonché facendo ricorso a mazze, bastoni o altri oggetti contundenti o comunque atti ad offendere”. Il noto DASPO viene rafforzato per “coloro che siano denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza”; “coloro che risultino avere tenuto, anche all’estero, sia singolarmente che in gruppo, una condotta finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione”; “coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti”. Il Decreto Legge 53/2019, così congegnato, è stato convertito in legge lo scorso 5 agosto e vi si individuano chiaramente le esigenze di legiferare sull’onda dell’emergenza emotiva di quanto appena vissuto dal Ministro dell’interno Salvini nello scontro con la comandante Carola Rackete ed in assenza di alcuna lungimiranza legislativa. Che si tratti di una legge criminogena, che si infrange contro le regole internazionali già approvate dall’Italia, contro la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, contro il Diritto del mare e sia manifestamente incostituzionale, non ha nessuna importanza perché quando l’apposita Corte si pronuncerà richiamando tutti i principi violati, offrirà lo spunto per gridare contro i poteri forti di coloro che vogliono fare politica senza essersi candidati e, tanto meno, essere stati eletti. Inorridiranno, così, gli incliti per l’analfabetismo costituzionale ed istituzionale, ma la pancia del popolo si riempirà ancor più di rabbia e livore contro un nuovo nemico spaccando una volta di più il Paese. È così che è andato avanti fino ad oggi il governo gialloverde, quello “del cambiamento”: in pieno assetto di propaganda e nell’assoluta trascuratezza dello sviluppo economico dell’Italia che sta piombando nella terza recessione in dieci anni senza che si percepisca l’azione di chi ne governi il timone. L’unica cosa che conta è lo scontro, il derby, la partita giocata sulla comunicazione di ciò che piace al popolo sentire e che i 5 Stelle non hanno saputo giocare in alcun modo, fallendo in tutte le occasioni perché hanno sempre guardato il loro dito e mai la luna che quel dito poteva indicare. È così che l’Italia si è fritta per un intero anno nella padella gialloverde. Una padella che non ha cucinato assolutamente nulla oltre alla propaganda.
Ma il giocattolo, nient’altro potendo più offrire all’andatura trionfale leghista, è stato finalmente rotto da Matteo Salvini che ha dichiarato di voler uscire dal contratto stretto nell’estate del 2018 con il M5S. L’apertura della crisi in Parlamento sta però offrendo lo spunto per valutare la possibilità di un’alleanza tra i grillini e il PD renziano. Il cemento di una simile unione sta nella perdita di poltrone parlamentari cui entrambi i movimenti andrebbero incontro in caso di nuove elezioni, dovendosi ricordare che nella tornata europea dello scorso 26 maggio il M5S è sceso dal 32 al 17% e che, nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018, i parlamentari eletti per il PD erano in grande maggioranza della corrente di Matteo Renzi il quale, però, è attualmente in minoranza nel Partito Democratico.
Non si comprende ancora su quali basi programmatiche potrebbe stringersi un accordo tra le due forze. Tuttavia, non c’è dubbio che, da un’alleanza col M5S, chiunque ha sempre tutto da guadagnare.
L’ambiguità politica dei grillini (non esiste più né destra né sinistra!) li rende buoni per tutte le battaglie che un qualunque alleato chieda di combattere mentre le loro fissazioni sono talmente fuori dalla realtà da finire costantemente su un binario morto. Il famoso reddito di cittadinanza, che dovrebbe accompagnare i poveri in cerca del lavoro, si risolve in un sussidio assistenziale se il lavoro non c’è e suona veramente contraddittorio che un nugolo di nuovi precari, pomposamente definiti “navigator”, possa trovare il lavoro fisso ad altri quando loro stessi non ce l’hanno. Tanto meno funziona il salario minimo garantito a 9 euro, capace di rinvigorire il caporalato, di spingere in profondo nero il lavoro domestico e di aiutare la delocalizzazione in Cina dove l’imperatore Xi Jinping, col salario minimo garantito dell’Occidente, ci sostiene il PIL. Per non parlare della futilità delle battaglie per il TAP, il TAV o l’ILVA a paragone con temi attrattivi per la generalità come la pace fiscale o la flat tax al 15%. Questi ultimi sono argomenti diffusi e importanti che non andrebbero lasciati alla destra, come se la sinistra non sapesse che cosa ha passato l’area imprenditoriale del Paese in questi ultimi dieci anni. Quegli interessi e quelle sanzioni capaci di raddoppiare le imposte nelle cartelle non potute pagare per la crisi macroeconomica costituiscono un dannoso prelievo dal mondo produttivo al quale ben potrebbero essere lasciate le relative somme come ha già fatto, ma ancora in modo incompleto, la rottamazione ter. Ci sarebbe spazio per una rottamazione quater di cui non va assolutamente lasciato il boccino in mano a Salvini perché è su queste materie prime che si formano i plebisciti elettorali. Più ancora che sull’immigrazione che, pure, è un tema fortemente sentito, soprattutto in provincia, dove la presenza diffusa nelle strade e nelle piazze principali di ragazzoni neri senza alcuna occupazione e che spesso si appostano per chiedere l’elemosina (guarda caso, proprio come un tempo gli assai benvoluti zingari!) crea ansia e ripulsa. Eppure, la parola “integrazione” la sinistra non l’ha mai pronunciata correttamente sin qui e, tanto meno, l’ha praticata estesamente, permettendo che la Lega, in un anno, crescesse, anche grazie alla sua ferma opposizione sul tema, dal 17 al 40%: più la popolazione nera bighellona in strada e più voti fa Salvini e non ci voleva molto a capire, già sotto i governi Renzi e Gentiloni, che lo SPRAR – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – andava potenziato con il crescere degli sbarchi per togliere un’arma formidabile dalle mani della destra.
Ma proprio perché i grillini e il PD non possono vedere la pace fiscale (voti alla Lega!), né hanno sin qui mostrato di voler affrontare seriamente il tema dell’integrazione (altri voti a Salvini!!), né hanno mai messo fortemente e definitivamente nel loro mirino un incremento del reddito degli italiani (attraverso la riduzione delle aliquote fiscali, ovvero del cuneo fiscale, ovvero con maggiori detrazioni – temi su cui invece Salvini batte e ribatte) ci si domanda: su quali aspetti focali di diffusa generalità potrebbero trovarsi d’accordo, così da poter contrastare la voglia di “gigante pensaci tu” che gli italiani hanno riscoperto in quest’ultimo anno?
Francamente l’ipotesi di un contratto tra M5S e PD lascia perplessi e interdetti, non solo e non tanto per quanto poco si sono stimati in passato e per come si sono reciprocamente definiti fino a ieri – il passato è passato – quanto perché le sensibilità per i problemi collettivi e l’individuazione degli strumenti per risolverli sono manifestamente agli antipodi, poco aggreganti e imparagonabili con quelli sposati dalla Lega, sicché un loro governo comune si prospetta più come un esercizio di raro equilibrismo che come l’agognata panacea per i problemi dell’Italia.
Diciamolo francamente: è dal giugno 2016 che il mondo sembra capovolto. Prima la Brexit, poi l’elezione di Donald Trump, poi il consolidamento al vertice russo di Putin, poi l’ascesa all’impero cinese di Xi Jinping, poi la svolta autoritaria di Erdogan in Turchia, poi la riconferma alle elezioni di quest’anno del padre padrone Narendra Modi in India … insomma, è in atto una svolta sovranista e nazionalista mondiale che sta stringendo l’Europa democratica e liberale in una morsa sempre più stretta, con pochissimi campioni – peraltro in difficoltà al loro interno – rimasti a combattere il populismo dilagante.
Invero, non si può tacciare il PD di essere populista, ma il renzismo, secondo molti, lo è e vederlo convergere verso i populisti dichiarati del M5S non deve stupire se non per l’individuazione degli aspetti su cui dovrebbero sviluppare un comune governo. È questo il focus su cui non si può star tranquilli perché passare dalla padella gialloverde alla brace giallorossa potrebbe integrare il solo scopo della conservazione delle poltrone lasciando a loro stessi i problemi più importanti degli italiani mentre la recessione morde e Salvini arriva con la cassetta del pronto soccorso. E le cose, lasciate a loro stesse, tendono ad andare di male in peggio, come ben spiegava la Legge di Murphy (Arthur Bloch 1988 – Longanesi).