Conte bis. Un bel salto mortale acrobatico da una maggioranza all’altra. Giuseppe Conte può passare da presidente del Consiglio del governo M5S-Lega a presidente del Consiglio di un esecutivo cinquestelle-democratici.
Luigi Di Maio vuole fermamente la conferma di Conte a Palazzo Chigi anche nel nuovo, possibile ministero con il Pd: «Tutto il M5S è leale a Conte ed è l’unico nome come premier». Non tutti i cinquestelle sono d’accordo sul varo di un ministero con il Partito democratico, il nemico numero uno di sempre, ma Beppe Grillo sì. Il fondatore del M5S ha respinto tutte le critiche all’”Avvocato del popolo” e ha insistito sulla sua conferma a Palazzo Chigi: «Sembra che nessuno voglia perdonare a Conte la sua levatura».
Perfino Donald Trump ha fatto sentire la sua voce in favore del presidente del Consiglio dimissionario italiano. Il presidente degli Stati Uniti d’America ha scritto su Twitter: «Conte è un uomo di grande talento, spero resti premier».
È sempre più stretto in una morsa Nicola Zingaretti. A questo punto sta vacillando il perentorio doppio no del segretario del Pd: a Conte presidente del Consiglio e al governo con i grillini. Zingaretti sta rapidamente rettificando il mai al Conte bis in nome della richiesta di «discontinuità», cioè l’impossibilità per il professore di diritto privato di guidare un governo grillo-democratico dopo aver presieduto quello grillo-leghista su contenuti e scelte quasi opposte.
Zingaretti e il Pd sono vicini a baciare il “Rospo”, come accadde per la base del Pds 24 anni fa con Lamberto Dini. Lo scenario politico ricorda quello dell’inizio della Seconda Repubblica. La sinistra insorse. Silvio Berlusconi vinse le elezioni politiche con una coalizione di centro-destra ma rimase “azzoppato” e costretto alle dimissioni da un avviso di garanzia. Lamberto Dini, ministro del Tesoro nell’esecutivo del fondatore di Forza Italia, nel 1995 guidò (su incarico del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro) un ministero tecnico elettorale per portare l’Italia al voto anticipato.
Il governo Dini evitò le urne che reclamava Berlusconi per “il ribaltone”, si appoggiò su maggioranze variabili, spostate sempre di più verso il centro-sinistra. La sinistra era ostile al moderato Dini. Il Pds di D’Alema e i socialisti di Boselli gli votarono la fiducia. Rifondazione comunista di Bertinotti si spaccò. All’inizio del 1995 ‘il manifesto’ sintetizzò la necessità di votare la fiducia all’ex ministro berlusconiano con il fulminante titolo: «Baciare il rospo». Non solo, Dini fece il gran salto: fondò Rinnovamento italiano, una nuova formazione politica, che si alleò con il centro-sinistra nelle elezioni del 1996 vinte da Romano Prodi.
Il “ribaltone” del 2019 veste i panni del Conte bis. I cinquestelle vogliono evitare ad ogni costo le elezioni politiche anticipate chieste dall’ex alleato leghista Salvini perché temono un flop come quello già patito nel voto per le europee di maggio in favore del Carroccio. Zingaretti, sotto la pressione di Renzi e della maggioranza del Pd, sta ripiegando sul sì alla nascita del Conte bis. La grande maggioranza degli elettori grillini e buona parte di quella dei democratici, come rilevano i sondaggi, sono contrari all’intesa tra M5S e Pd, da anni nemici giurati. Bisognerà vedere come andrà a finire. Le capitali europee fanno il tifo per la singolare alleanza perché pone fine al primo governo populista e sovranista dell’Europa occidentale, quello del tandem Di Maio-Salvini.