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Ci vorrebbe un De Gasperi; un Togliatti ed un Nenni…

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Ci vorrebbe un De Gasperi; ed anche un Togliatti ed un Nenni ci vorrebbero, nonché l’apporto di un Croce. I quali a metà dello scorso secolo  riuscirono  a   portare a  termine, pur  non senza pecche,un’ operazione rischiosissima. Fu come costruire un aeroplano in volo. Costruirono infatti un nuovo Stato  mentre governavano  il Paese con gli strumenti  di quello vecchio di cui contemporaneamente  gestivano il disfacimento. In un paese ridotto in macerie da una guerra denominata  mondiale e lacerato da una guerra interna che alcuni non esitarono a chiamare civile, misero insieme un’idea di Stato ed una  di Società, cioè di Popolo organizzato, e le misero in connessione perché l’una si rispecchiasse nell’altro e viceversa. I partiti,da poco ricostituiti, furono la struttura di connessione  tra la  Società/Popolo e lo Stato così la   grande invenzione della borghesia –   lo Stato – e  la   corrispondente  invenzione delle classi popolari – i partiti di massa – vennero a far parte di un unico disegno  politico-istituzionale. Per questo I Partiti  furono elevati a rango  costituzionale (articolo 49 della Costituzione).

Ma De Gasperi, Togliatti, Nenni e Croce non erano singoli personaggi per quanto  illustri ed illuminati. Erano  portatori di culture, correnti di pensiero e tradizioni in grado di interpretare  e di guidare i diversi settori della Società, di  rappresentare le diverse componenti del Popolo con i rispettivi interessi ed aspirazioni anche se tra loro in conflitto.

De Gasperi era infatti espressione del cattolicesimo democratico che si ispirava alla Dottrina Sociale della Chiesa  ed era stato mobilitato dall’Appello di Sturzo agli Uomini Liberi e Forti; Togliatti e Nenni  radicavano il loro pensiero politico e la loro azione nel Marxismo come scienza della società, mirante  a cambiare lo “stato delle cose”;   Croce era esponente dell’Idealismo ispiratore del Liberalismo. Ognuno di loro aveva dunque una “storia” alle spalle ed un retroterra culturale di grande spessore che nel  “presente” animava teorie ed organizzazioni  sociali e politiche  che  costituivano   i settori vitali del Paese.

Fu per questo che le forze di cui De Gasperi, Togliatti, Nenni e Croce erano esponenti     riuscirono a costruire una nuovo assetto statuale, politico, sociale ed economico  del Paese e persino a porre mano al tentativo, malauguratamente interrotto   successivamente,di porre rimedio al dualismo strutturale tra Nord e Sud, frutto del modo con il quale si era pervenuti alla composizione dell’Italia in un unico Stato.

Personalità del genere e soprattutto i loro retroterra servirebbero oggi per  provare  a costruire di nuovo un aereo in volo, perché la  costruzione edificata in Italia  a  partire dalla seconda metà degli anni quaranta del ‘900 è stata devastata da uno tsunami che in diversi modi ha investito l’intero pianeta.

Al fallimento dei tentativi volti a  rinnovare dall’interno l’esperienza  del socialismo reale   aggiungendo alla giustizia sociale, sostanzialmente  raggiunta, libertà e democrazia, del tutto mancanti,seguì, inevitabile, anche per effetto della fortissima pressione dell’Occiden- te, l’implosione dell’Unione Sovietica. Ne fu  simbolo ed emblema la  “caduta  del muro di Berlino”. Senza più freni, il Capitalismo  e la sua grande capacità di “distruzione creatrice” dilagano. E muta tutto. Il processo  di accumulazione del capitale  sostituisce   alla logica inclusiva (di territori e settori sociali) dell’epoca del fordismo   una logica severa,  selettiva  ed escludente; il modo di produrre si avvale in misura crescente di  tecnologie  (il   lavoro morto) per altro  in vorticosa evoluzione e fa meno  ricorso al  lavoro (vivo) moltiplicando però le forme contrattuali con le quali lo utilizza. Anche le modalità della distribuzione e del consumo  cambiano. A causa di tutto ciò   mutano anche  i soggetti sociali: alcuni andando   scomparendo, altri modificando  la propria fisionomia mentre  ne nascono di nuovi. Da qui, anche se non solo da qui,la crisi della rappresentanza che insieme alla sopravvenuta sua burocratizzazione pone in crisi la “forma partito” e porta alla scomparsa dei grandi partiti di massa. Ma c’è di più. Per la “creazione” di valore, ovvero  per la formazione della ricchezza, non ci si  affida  come una volta soprattutto alla “produzione di merci a mezzo di merci” ma si ricorre anche alla produzione di ”denaro a mezzo di denaro”,  e l’economia finanziaria finisce con il  prevale su quella  reale.

Anche per questo motivo il rapporto tra la Politica e l’Economia si ribalta: alla supremazia della Politica subentra quella dell’Economia, ciò che pone in crisi gli Stati-Nazione. Ne risente fortemente la sovranità; il Popolo, cui il dettato della Costituzione Italiana l’ attribuisce, non può più esercitarla “nelle forme  e nei liniti” stabiliti. Si spiega la nascita dei populismi, dei sovranismi e di forme nuove di localismi.

Il quadro, di per sé già fosco, è aggravato da una severa  crisi ambientale, causata dallo sconsiderato modo di produrre e dalla  illusoria presunzione che sia   possibile una “crescita”  senza limiti. E’ una vera e propria emergenza che nessuno può più fingere di non vedere.

Siamo  dunque di fronte alla “crisi del sistema”. Per affrontarla   occorrerebbe  ridisegnare il sistema istituzionale  secondo  idee rinnovate di   Stato e di Società e concepire una radicale conversione dell’economia.

Non so se il Segretario del PD Zingaretti alluda a questo quando parla di “Governo di svolta”, comunque   mostra di essere consapevole che non ci troviamo   di fronte semplicemente ad una crisi di Governo. In ogni caso mi sembra  e che a questo pensino intellettuali quali Massimo Cacciari e Marco Revelli. Ed è importante.

Il problema – a parer mio – è che non ci sono oggi le condizione essenziali per ripetere l’operazione che riuscì nel dopoguerra. Non mancano soltanto personalità dello spessore di quelle evocate all’inizio di questo scritto; mancano anche  i loro retroterra, cioè la densità di pensiero cui essi poterono far variamente ricorso.

Temo dunque che la costruzione in volo di una altro velivolo vada rimandata. Vorrei essere smentito dai fatti, ma temo che mi daranno ragione.

Penso perciò che ci si debba  attrezzare ad attraversare  un periodo di transizione nel quale gestire l’esistente ai vari livelli con i minori danni possibili, per avere   tempo perché siano create     le condizioni per   affrontare la crisi del sistema.

C’è un gran lavoro da fare. Anzitutto sul piano culturale, per concepire un’idea di Stato e di Società in grado di sottrarsi all’egemonia dei poteri economici ed escogitare un modo di produrre che preservi l’ambiente e sia al servizio della Società.

Nell’attesa che a livello  culturale  si formino le  idee  giuste e  su quello politico  maturino forze in grado di apprezzarle e farle proprie, una partita decisiva va giocata  in ogni spazio della società dove va contrastato strenuamente  il passo ai populismi, ai sovranisti, ai razzismi ed ai localismi d’ogni sorte, promuovendo reti di solidarietà e sperimentando forme nuove di partecipazione. Con particolare impegno nelle periferie,nelle aree dell’emargina-zione e dell’esclusione, rafforzando o sviluppando la consapevolezza dei diritti, impedendo che la povertà degeneri in miseria ed in perdita di dignità, sostenendo  i modelli di relazioni  e di vita in comune che vi sorgono spontaneamente. Non solo perché sono ambienti che potrebbero essere  esposti più di altri alla perniciosa influenza dei salvinismi, ma perché proprio lì,dove  chi non conoscendo tali realtà meno se lo  aspetterebbe, si potrebbero scorgere i prodromi di una società nuova nei  modelli di relazioni  e di vita in comune cui si è appena accennato.

Non è un  lavoro da inventare, è già in atto; va solo  proseguito e se possibile rafforzato.

In  questa campagna di vaccinazione della società  i Sindacati  potrebbero essere determinanti dato  il vuoto lasciato dai partiti. Tutti i Sindacati: i confederali e quelli di base, non certo, come è ovvio, quelli d’accatto e filo padronali.

Per concludere,  un ricordo di quando ero giovane. Si diceva: <al lavoro, alla lotta>.  E se riportassimo in auge questo motto?


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