VENTIMIGLIA – A Sami è difficile togliere il sorriso. Festeggia il passaggio della sua Algeria alla finale di Coppa d’Africa contro il Senegal. Il contesto attorno lui può vagamente ricordare quello di una partita di calcio: è appena stato respinto al confine franco-italiano dalle Crs – i reparti antisommossa francesi che si occupano di ordine pubblico per esempio negli stadi – schierati al posto della polizia ferroviaria nella stazione del primo paese oltre confine, a Menton Garavan. Come Sami ne sono stati respinti 897 solo a giugno 2019, fra cui 40 donne, 6 bambini e 16 minori non accompagnati. Per i quali è “usanza” della frontiera farli passare per i figli di altri connazionali, nonostante non lo siano, oppure cambiare loro l’età. In tanti – forse troppi – risultano nati l’1 gennaio 1998.
I respingimenti sono stati monitorati uno ad uno dagli attivisti francesi del collettivo della Val Roja “Kesha Niya” (“No problem” in lingua curda) e dagli italiani dell’associazione Iris, auto organizzati e che si danno il cambio in staffette da quattro anni a Ventimiglia per denunciare gli abusi. Dalle 9 del mattino alle 20 di sera si piazzano lungo la frontiera alta di Ponte San Luigi, con beni alimentari e vestiti destinati alle persone che hanno tentato di attraversare in treno o a piedi. Sono state bloccate, hanno passato la notte in un container di 15 metri quadrati e infine abbandonate al mattino lungo la strada di dieci chilometri, i primi in salita, che porta all’ultima città della Liguria.
Una pratica, quella dei container, che le ong e associazioni Medecins du Monde, Anafé, Oxfam, WeWorld e Iris hanno denunciato al procuratore della Repubblica di Nizza con un dossier il 16 luglio. Perché le persone vengono trattenute fino a 15 ore senza nessuna contestazione di reato, in un Paese – la Francia – dove il Consiglio di Stato ha stabilito come “ragionevole” la durata di quattro ore per il fermo amministrativo e la privazione della libertà senza contestazioni. 18 mila sono i casi dall’inizio dell’anno scrive Il Fatto Quotidiano, citando dati ufficiali del Viminale, rilasciati dopo la richiesta di accesso civico fatta dall’avvocata Alessandra Ballerini.
Le storie
Quando sia nato Sami – faccia da ragazzino sveglio – è poco importante. Più importante è che il suo primo permesso di soggiorno in Europa lo ha avuto a metà anni Duemila. All’età dieci anni. Lo mostra. È un documento sloveno. A quasi vent’anni di distanza è ancora ostaggio di quei meccanismi. A un certo punto è stato riportato in Algeria – o ci è tornato autonomamente – e da lì ha ottenuto un visto per la Turchia e poi la rotta balcanica a piedi. Per provare a tornare nel cuore del Vecchio Continente. Prende un foglio e disegna le varie tappe che ha attraversato lungo la ex Jugoslavia. Lui è un inguaribile ottimista. Ci riproverà la sera stessa convinto di farcela. Altri sono in preda all’ansia di non riuscire. Come Sylvester, nigeriano dell’Edo State, vestito a puntino nel tentativo di farsi passare da turista sui treni delle Sncf – le ferrovie francesi. È regolare in Italia. Ha il permesso di soggiorno per motivi umanitari, oggi abolito da Salvini e non più rinnovabile. “Devo arrivare in Germania perché mi aspetta un lavoro come operaio. Ma devo essere lì entro ottobre. Ho già provato dal Brennero. Come faccio a passare?”, chiede insistentemente.
Il flusso a Ventimiglia è cambiato
Rispetto ai tunisini del 2011, ai sudanesi del 2015 ma anche rispetto all’estate del 2018. Nessuno, o quasi, arriva dagli sbarchi salvo sporadici casi, mostrando plasticamente una volta di più come la cosiddetta crisi migratoria in Europa può cambiare attori ma non la trama. Oggi sono tre i canali principali: rotta balcanica; fuoriusciti dai centri di accoglienza in Italia in seguito alle leggi del governo Conte e ai tagli da 35 a 18-21 euro nei bandi di gare delle Prefetture; persone con la protezione umanitaria in scadenza che non lavorano e non possono convertire il permesso di soggiorno. Questa la situazione in uscita. In entrata dalla Francia si assiste al corto circuito del confine. Parigi non si fida dell’Italia, pensa che non vengano prese le impronte digitali secondo Dublino e inserite nel sistema Eurodac. Perciò respinge tutto senza badare ai dettagli, almeno via treno. Incluse persone con i documenti che devono andare nelle ambasciate francesi del loro Paese perché sono le uniche autorizzate a rilasciare i passaporti. In mezzo ci finiscono anche irregolari di lungo periodo Oltralpe che vengono “rastrellati” a Lione o Marsiglia e fatti passare per nuovi arrivi. Nel calderone finisce anche Jamal: nigeriano con una splendida voce da cantante, da nove mesi in Francia con un permesso di soggiorno come richiedente asilo e in attesa di essere sentito dalla Commissione. Lo hanno fermato gli agenti a Breil, paesotto di 2 mila anime di confine, nella valle della Roja sulle Alpi Marittime. Hanno detto che i documenti non bastavano e lo hanno espulso. Da settimane gli attivisti italiani fanno il diavolo a quattro con gli avvocati francesi per farlo rientrare. Ogni giorno spunta un cavillo diverso: dichiarazioni di ospitalità, pec da inviare contemporaneamente alle prefetture competenti delle due nazioni. Spesso non servono i muri, basta la burocrazia.
Passaggi più difficili e costosi
Come è scontato che sia, il “proibizionismo” in frontiera non ha bloccato i passaggi. Li ha solo resi più difficili e costosi, con una sorta di selezione darwiniana su base economica. In stazione a Ventimiglia bastano due ore di osservazione da un tavolino nel bar all’angolo della piazza per comprendere alcune superficiali dinamiche di tratta delle donne e passeurs. Che a pagamento portano chiunque in Francia in automobile. 300 euro a viaggio. Ci sono strutture organizzate e altri che sono “scafisti di terra” improvvisati, magari per arrotondare. Come è sempre stato in questa enclave calabrese nel nord Italia, cuore dei traffici illeciti già negli anni Settanza con gli “spalloni” di sigarette. Sono i numeri in città a dire che i migranti transitato, anche se pagando. Nel campo Roja gestito dalla Croce Rossa su mandato della Prefettura di Imperia – l’unico rimasto dopo gli sgomberi di tutti gli accampamenti informali – da gennaio ci sono stabilmente tra le 180 e le 220 persone. Turn over quasi quotidiano in città di 20 che escono e 20 che entrano, di cui un minore di media. Le poche ong che hanno progetti aperti sul territorio frontaliero sono Save The Children, WeWorld e Diaconia Valdese (Oxfam ha lasciato due settimane fa), oltre allo sportello Caritas locale per orientamento legale e lavorativo. 78 minori non accompagnati da Pakistan, Bangladesh e Somalia sono stati trasferiti nel Siproimi, il nuovo sistema Sprar. Il 6 e il 12 luglio, all’una del pomeriggio, sono partiti due pullman con a bordo 15 e 10 migranti rispettivamente in direzione dell’hotspot di Taranto. È stato trasferito per errore anche un richiedente asilo a cui la polizia ha pagato il biglietto di ritorno, secondo fonti locali.
Questi viaggi sono organizzati da Riviera Trasporti, l’azienda del trasporto pubblico locale di Imperia e Sanremo da anni stabilmente con i conti in rosso e che tampona le perdite anche grazie al servizio taxi per il Ministero dell’Interno: 5mila euro a viaggio in direzione dei centri di identificazione voluti dall’agenda Europa nel 2015 per differenziare i richiedenti asilo dai cosiddetti “migranti economici”.
A fine maggio ha vinto le elezioni comunali Gaetano Scullino per la coalizione di centrodestra, subentrando all’uscente Pd Enrico Ioculano, oggi consigliere di opposizione. Nel 2012, quando già Scullino era sindaco, il Comune è stato sciolto per mafia per l’inchiesta “La Svolta” in cui il primo cittadino era accusato di concorso esterno. Lui è stato assolto in via definitiva e a sorpresa ha riconquistato il Comune. La nuova giunta non vuole parlare di immigrazione. A Ventimiglia vige un’ideologia. Quella del decoro e dei grandi lavori pubblici sulla costa. C’è da completare il 20 per cento del porto di “Cala del Forte”, quasi pronto per accogliere i natanti. “Sono 178 i posti barca per yacht da 6,5 a oltre 70 metri di lunghezza – scrive la stampa del ponente ligure –. Un piccolo gioiello, firmato Monaco Ports, che trasformerà la baia di Ventimiglia in un’oasi di lusso e ricchezza. E se gli ormeggi sono già andati a ruba, in vendita nelle agenzie immobiliari c’è il complesso residenziale di lusso che si affaccerà sull’approdo turistico. Quarantaquattro appartamenti con vista sul mare che sorgeranno vicino a un centro commerciale con boutique, ristoranti, bar e un hotel”. Sui migranti si dice pubblicament soltanto che nessun info point per le persone in transito è necessario perché “sono pochi e non serve”.
Contemporaneamente abbondano le prese di posizione politiche della nuova amministrazione locale per istituire il Daspo urbano, modificando il regolamento di polizia locale per adeguarsi ai due decreti sicurezza voluti dal ministro Salvini. Un Daspo selettivo, solo per alcune aree della città. Facile immaginare quali. Tolleranza zero – si legge – contro accattonaggio, improperi, bivacchi e attività di commercio abusivo. Escluso – forse – quello stesso commercio abusivo in mano ai passeurs che libera la città dai migranti. Sono pochi, è vero, ma quello serve.