A novantasei anni ci saluta l’ultima autentica diva del cinema e del teatro italiano: Valentina Cortese. Signora di uno spettacolo che non lasciava spazio alla volgarità e alla mediocrità dei nostri tempi, perché fatto solo di vero talento e di classe innata. Come Paola Borboni, Valentina Cortese nasce il 1 gennaio, dell’anno 1923 (Borboni è invece del 1900), a Milano, ma cresce a Stresa. Sua madre, nubile, appartiene alla buona borghesia e aspira a diventare pianista: Valentina è dunque, per l’epoca, una “figlia della colpa”. Per evitare lo scandalo, la bimba appena nata viene affidata a una donna di campagna. Dalla sua biografia, Quanti sono i domani passati, pubblicata nel 2012, apprendiamo i suoi ricordi d’infanzia legati all’ambiente contadino e a quelle donne semplici e forti che durante il duro lavoro nei campi si proteggevano la testa dal sole annodandovi un fazzoletto: quel foulard che lei stessa, avanti negli anni ma sempre affascinante, aveva preso a indossare come omaggio nei loro confronti.
Dopo i primi anni trascorsi in campagna i nonni la conducono a Torino e la inseriscono nella buona società del capoluogo piemontese. Già a tre anni si fa strada in lei la voglia di recitare, e, giovanissima, quando ancora sua nonna la porta al cinema a vedere film per bambini, s’innamora di Victor de Sabata, un direttore d’orchestra più grande di lei di trentuno anni, che segue a Roma abbandonando il liceo, per poi diplomarsi all’Accademia d’Arte Drammatica. Inizia così a recitare in teatro, ma nel 1941 firma un contratto per il cinema, per la Scalera Film, che la sceglie per i suoi tratti delicati e la introduce nel cosiddetto filone dei “telefoni bianchi”. Il suo primo ruolo importante risale al 1942 quando interpreta Lisabetta ne La cena delle beffe di Alessandro Blasetti, ma aveva debuttato due anni prima nel film L’orizzonte dipinto. Nel 1948 recita ne I miserabili di Riccardo Freda, che annovera Mario Monicelli fra gli sceneggiatori e un giovane Marcello Mastroianni fra gli interpreti. I due lavoreranno insieme anche in Lulù del 1953. Nel 1948 firma un contratto con la 20th Century Fox e lavora con James Stewart e Spencer Tracy in Malesia (1949), mentre nel ’54 recita accanto ad Ava Gardner, Humphrey Bogart e Rossano Brazzi ne La contessa scalza. Nel 1955 in Italia, Michelangelo Antonioni la dirige nel film Le amiche, grazie al quale vince il Nastro D’argento come miglior attrice non protagonista. A Hollywood ha modo di frequentare anche Greta Garbo, Marilyn Monroe, Gregory Peck, Charlie Chaplin, Cary Grant, Fred Astaire e Paul Newman.
Nel 1958 si ritira temporaneamente dalle scene in seguito allo sfortunato matrimonio con Richard Basehart, sposato il 24 marzo 1951 e da cui divorzia nel 1960. Da questa unione nasce Jackie, anche lui attore. A causa della gravidanza deve rinunciare al ruolo della protagonista femminile di Luci della ribalta propostole direttamente da Charlie Chaplin nel 1952 e poi affidato a Claire Bloom.
Valentina Cortese torna a recitare nel 1961, in Italia, nel film Barabba di Richard Fleischer, lavorando accanto ad Anthony Quinn, Silvana Mangano ed Ernest Borgnine. Nel 1964 Federico Fellini la dirige in Giulietta degli spiriti e, sempre nello stesso anno, recita con Ingrid Bergman in La vendetta della signora. Negli Usa interpreta nel 1968 il ruolo di un’elegante contessa italiana nel film Quando muore una stella di Robert Aldrich, accanto a Kim Novak e Peter Finch. Per la televisione italiana recita nello sceneggiato I Buddenbrook. Nel 1973 lavora in Effetto notte di Truffaut e ottiene una nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista. La vincitrice di quell’anno, Ingrid Bergman, le dedica pubblicamente il premio, sostenendo che a suo parere era proprio la Cortese a meritarlo.
Importante è il sodalizio artistico con Franco Zeffirelli che la vuole in Fratello sole, sorella luna del 1971 e in Gesù di Nazareth del 1976, dove interpreta Erodiade. Nel 1993 recita anche in Storia di una capinera. Intanto a teatro era avvenuto l’incontro con Giorgio Strehler, incontro che determina una proficua collaborazione artistica, al Piccolo di Milano, durata quindici anni, ma anche un’intensa relazione sentimentale.
Nel 1980 sposa l’industriale Carlo De Angeli, suo vicino di casa, poi scomparso nel 1998. Nel 1987 prende parte al film di Carlo Vanzina Via Montenapoleone nel ruolo di una donna dell’alta borghesia che non riesce ad accettare l’omosessualità del figlio. Nel 1988 interpreta il doppio ruolo di Daisy/Regina della luna ne Le avventure del barone di Munchausen di Terry Gilliam, accanto a Robin Williams. Negli anni 2000, per la regia di Fabio Battistini, porta in scena il Magnificat di Alda Merini. L’ultima apparizione risale al 2012 quando è ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa per presentare la sua autobiografia, Quanti sono i domani passati, a cura di Enrico Rotelli.
Nel 2015 muore a sessantaquattro anni il suo unico figlio, Jackie. Dolore al quale riesce a sopravvivere per quattro anni: «aspetto l’ultimo giro di clessidra e lo raggiungo», così diceva.
Ora l’ultimo giro di clessidra è arrivato, la diva dal foulard di seta si è spenta nel sonno, nel suo letto a baldacchino, adorno di merletti e cuscini di un candore immacolato. La ricorderemo per la sua eleganza d’altri tempi, per i colori dei suoi abiti, primo fra tutti il rosso impero di Carlo Tivioli (ma amava anche indossare le creazioni di Emilio Pucci e Roberto Capucci), per il suo dolcissimo sorriso. E, naturalmente, per le sue magistrali interpretazioni, ormai consegnate all’immortalità.