In un tempo senza epoca se ne è andato l’ultimo intellettuale della sua generazione. E così scrivi quel ricordo che non avresti mai voluto scrivere. Sognava un mondo aperto, Camilleri, pensando ad un paese che è stato comunque sempre razzista, fin dagli anni ’60 quando lavorava in Rai a Torino e vedeva i cartelli: non si affittano case ai meridionali.
E questa Italia degli ultimi anni non gli piaceva e non ne faceva mistero. Non gli piaceva che qualcuno mettesse in atto la volontà di cambiare la Costituzione, non gli piaceva nemmeno questo governo che chiude i porti e che non accoglie i migranti, migranti che vedono nell’Europa un approdo sicuro che però non li accetta.
E per lui, che smise di bere vino all’indomani della strage di Portella della Ginestra proprio perché sconvolto da quel primo maggio di sangue che segnò la storia della Sicilia contadina, alcune cose non potevano essere sopportate perché in contraddizione col mondo che immaginava. E penso ai suoi racconti, i racconti di Nenè, che andarono in onda su RaiSat Extra per una produzione che si inventò un suo allievo e amico, Francesco Anzalone. Una produzione che curai all’inizio della mia esperienza in Rai e che poi si trasformò in un libro snello e veloce per Melampo. Racconti che oggi mi tornano in mente a spot. Da giovanissimo sotto il regime scrisse a Mussolini perché “volevo ammazzare gli abissini”, ma poi, più grande, ottenne insieme ai suoi amici – colpiti dalla lettura de La Condizione umana di Malreaux -, ottenne l’esonero dalle prove atletiche del sabato fascista con la scusa di essere – insieme agli altri- cardiopatico. Falso, ovviamente.
Amava il mare, come lo ama Montalbano. E non aveva la stessa passione per la montagna.
Ma risolse, in quell’anno in cui la famiglia lo costrinse ad andarci, scoprendo la Grappa.
I ricordi di Camilleri sono i ricordi di un Paese, a partire dal quello personale che aveva di Pirandello che, bambino, vide giungere da sua nonna, amico di famiglia, vestito da grande accademico e che lui scambiò per un ammiraglio. Di Pirandello fu uno dei più grandi conoscitori. La seconda guerra mondiale, lo sbarco degli alleati in Sicilia, l’incontro con un feroce generale Patton che spezzò la croce che segnava pietosamente la tomba di un soldato tedesco.
Ora Andrea se ne è andato, restano i suoi racconti, gli aneddoti, i libri, i romanzi, le produzioni teatrali e televisive. Ci si aspetta il ringraziamento dell’associazione italiana tabaccai, probabilmente, per i milioni di pacchetti di sigarette fumate che gli sono valse la straordinaria imitazione di Fiorello a Viva Radio 2, un altro suo amico. E così, per lui, da oggi, si sono aperti i porti dei campi elisi che non saranno pieni di grano ma di tabacco, rigorosamente italiano. Buon viaggio Andrea.