In viaggio verso l’impossibile. Caparbio attraversare strade, Paesi, capitali, città, fiumi e mari. Sorvolo di montagne, irte colline e discese precipitose. Vestito quasi sempre di stesso abito. Un po’ lercio e a giorni fortunati lavato a preziosi, rari getti d’acqua forse anche non potabile con doccia dispettosa nell’ufficio dove era a servizio a Tripoli. E poi tutta la traversata sull’onda. Da Tripoli con vista Lampedusa, presepi di Sicilia, stretto di Messina e Africa italiana dalla Calabria a Salerno. Di prua. A solcare marosi, cavalloni e mari increspati e quieti. Wazib, occhi iridi marroni, umidi di mare, lacrimosi quasi, ha cavalcato mille e mille onde. Su e giù nel mare mosso e calmo a volte, tra corpi dilaniati da schizzi di paura, sete del migrare, schiaffi d’acqua, tonfi di cuori per mamme lontane, corpi macerati, fradici di schiuma di mare, arsi di salsedine gli occhi, in deliquio quasi per giorni di digiuno. L’acqua sempre un po’ strana, calda di fratelli perduti, fredda di tramonti che inseguono nuove aurore e altre albe. Di poppa su e giù sino a toccar cielo, poi con prua sott’acqua, immersa, travolta dall’onda grossa.
Senza paura come intrepido marinaio a solcare acque ad un dito dal cielo senza mai toccarlo.
In un flash il film del suo viaggio impossibile. Dal Bangladesh. Capricciosa voglia di andare in Libia. Arrogante, insistente, richiesta di soldi. Papà dignitoso che pascola mucche, appena cinque, nelle campagne di Brahmanbaria, e mamma in casa, con cinque figli d’ogni età, ai fornelli con riso curcuma, zenzero e pensieri per lui, Wazib, il primogenito di sedici anni che ha in mente di andare in Libia. Seimila euro per il sensale marittimo. Viaggio di quasi cinque ore in treno, con un amico coetaneo e tantissimi altri, da Brahmanbaria all’aeroporto di Chitagong e da qui in volo per Tripoli con sosta a Dubhai. Tantissimo danaro che non si ha e tantissima paura per quel Paese in guerra. Sembra un capriccio d’adolescente. Ma è richiesta insistente. Insolente ricatto prima di scappare di casa e lasciare col cuore in gola la famiglia. Sarà dopo molti giorni che Wazib viene scovato a casa di un amico, in capitale, a Dakha. Genitori premurosi riconquistano l’adorato figlio con i soldi necessari per il viaggio. Slegano il veto con la promessa che non si fermerà in Libia. È un’eco che gli ritorna più e più volte….Wazib conta i soldi. Sono state vendute due mucche e il resto racimolato tra parenti e preso in prestito da amici. Ora la libertà è sul gommone. A Tripoli cinque o sei mesi a pulire di punto la sede di uno strano ufficio in cambio di una branda su cui riposare. Per mangiare chiede soldi in prestito. Gli arrivano bonifici dall’altro capo del mondo. Tripoli è divenuta pericolosa. Odore acre di spari e di morti. Ha paura di uscire. Vive braccato per non essere catturato. Chiede ancora soldi per lasciare la Libia. Sarà uno scafista a prendere qualche migliaia di euro per farlo salire su di un gommone. Sono in tantissimi. Stretti. Legati dal respiro. E qui tra occhi, cuori e storie, in un unico fiato, la libertà accarezza i sogni. Disperati. Sono disperati quando una nave s’accosta al gommone. Deboli senza forze i naufraghi non ce la fanno a dare un passo. Presi di peso, avvolti nelle coperte termiche dorate, sono in salvo. Insieme a tantissimi altri naufraghi, recuperati mare navigando, chi di poppa chi di prua. Wazib digiuno da giorni viene rifocillato con succo di frutta e una banana. Quando sbarcano a Salerno è tra i minori non accompagnati affidato ad una associazione. Prende confidenza con l’ambiente. Va a scuola. Vuole fare il comandante di navi. Sceglie l’Istituto Nautico. Interessato, curioso, attento ma con troppe assenze per via di quel lavoro che ha intrapreso in pizzeria. Costretto a ritirarsi è tutto dedito a far pizze. Diviene bravo, svelto e veloce. Wazib ha un lavoro. Tutto ciò che guadagna lo invia ai genitori. Sono in debito con loro, dice. Capisco solo ora ciò che non avrei dovuto fare. La mia famiglia, povera e dignitosa. Con gli occhi oltre le stelle ripercorre più e più volte il viaggio dal Bangladesh. Di fede musulmana ringrazia il suo Hallah e porta il conto dei debiti che papà ha contratto. È un ragazzo serio Wazib. Lavora tutto il giorno sino a tarda notte per mandare i soldi a casa. Mio padre – dice-deve comprare due o tre mucche per sopravvivere. Attratto dall’Africa voleva andare in Libia. Wazib è in Italia. Fa il pizzaiolo. Mentre impasta farina e acqua con lievito… pensa al fratello e alle tre sorelline che hanno bisogno di pane e latte. Versa l’olio sul pomodoro, sminuzza basilico sulla mozzarella e pensa al papà che ha venduto le mucche. Wazib sogna di andare a scuola…e inforna pizze margherite.