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Se n’è andato un altro grande vecchio della cultura italiana: Andrea Camilleri, l’uomo che non ha mai smesso di raccontare

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La notizia del ricovero di Andrea Camilleri  in ospedale mi ha  raggiunto (e con me migliaia di altri suoi affezionati lettori) mente stavo alle ultime pagine  del suo ultimo romanzo protagonista il commissario Montalbano:  s’intitola Il cuoco dell’Alcyon ed è un racconto dalla genesi inconsueta. Lo scrive lo stesso Camilleri nella post-fazione: “Questo racconto è nato una decina di anni fa non come romanzo ma come soggetto per un film italo-americano. Quando è venuta a mancare la coproduzione, ho usato quella stessa sceneggiatura, con alcune varianti,  per un nuovo libro di Montalbano  che, inevitabilmente, risente, forse nel  bene forse nel male, della sua origine non letteraria”. Così scriveva Camilleri nell’aprile scorso quando l’editore Sellero ha dato alle stampe quello che sarebbe stato l’ultima avventura poliziesca della premiata ditta Camilleri-Montalbano.

Intervistato da una commossa giornalista televisiva che gli chiedeva quanto, a 90 anni suonati, pensasse alla morte. Piero Angela, una settimana fa, ha risposto: “Ci penso come ad un fermo-fotogramma. Mentre parlo, stop, e li finisce tutto”. Una morte in diretta televisiva, insomma, la migliore che il giornalista, scrittore e divulgatore scientifico più famoso al mondo sembra voglia immaginare.

Franco Zeffirelli, sempre per rimanere nel tema dei grandi vecchi della cultura italiana, si è spento a 96 anni con la discrezione che ha sempre contraddistinto la sua natura, nel silenzio della  principesca villa sull’Appia Antica. A onorarlo alla grande sono stati i suoi fiorentini: camera ardente nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, funerali in Santa Maria del Fiore, con migliaia di fedeli commossi, il minimo per uno come lui che con la sua città ha sempre polemizzato, pur amandola svisceratamente.

Andrea Camilleri se ne è andato, a 94 anni,  mentre un suo racconto, l’ennesimo, era appena uscito in libreria e mentre si era appena spenta l’eco televisiva dell’ottava replica del suo Montalbano, cavallo di battaglia che la Rai non mancherà di cavalcare  ancora in innumerevoli  occasioni.

“Come vorrei finire la mia carriera? Seduto in una piazza mentre racconto le mie storie a chi mi sta ascoltando, poi passare tra il pubblico con il cappello in mano” diceva spesso Camilleri ironizzando sulla propria condizione non di cantastorie, come qualcuno lo aveva definito, ma di “contastorie”. Ed è stato accontentato: non in una piazza di paese ha concluso la sua carriera, ma davanti al pubblico infinitamente più vasto della piazza televisiva, dei libri, della rete.

Come per scrivere di Zeffirelli devi scegliere fra cinema, teatro, melodramma, scenografie e storia, così per ricordare Camilleri devi decidere fra teatro, televisione, cinema, letteratura, i campi nei quali il conterraneo di Luigi  Pirandello ha spaziato  con la sua creatività. Ha diretto, e vi ha insegnato,  l’Accademia d’arte drammatica “Silvio d’Amico”, è stato un autore fra i più prolifici, (lo hanno definito “il Simenon  italiano”), ha scritto della sua Sicilia con un dialetto inventato che in un primo tempo ha disorientato una parte della suoi lettori, poi  li ha conquistati a migliaia, a milioni, tante sono le copie dei suoi libri e gli spettatori della serie televisiva di maggior successo non solo in Italia (una gallina dalle uova d’oro che la Rai si coccola con comprensibile soddisfazione), con i suoi interventi da garbato polemista che non hanno mancato di suscitare serrati dibattiti sulla società del nostro tempo, compresa la politica che lui, nato comunista e mai pentito, non ha mai voluto frequentare da vicino limitandosi a   scriverne, da fuori,  con acutezza e forte impegno.

Perduto, in vecchiaia, il dono della vista, Camilleri ha continuato  a “scrivere” i suoi libri dettandoli  parola per parola ad una paziente amanuense.  Non ha potuto, fino all’ultimo, vedere i suoi personaggi dominare in televisione, ma diceva di ricordarne le facce, di tutti: Montalbano, Mimì Augello, Fazio, Catarella, l’eterna fidanzata Livia.

I suoi primi titoli di successo non legati al personaggio del commissario Montalbano, (al quale l’attore Luca Zingaretti  è ormai votato a vita) sono piccoli autentici capolavori: La stagione della caccia, Il birraio di Preston, La concessione del telefono, Il nipote del Negus, La mossa del cavallo, solo per dire dei più noti. Protagonista Montalbano, i titoli  ormai indimenticabili sono La forma dell’acqua, Il cane di terracotta, Il ladro di merendine fino al recente, bellissimo, La rete di protezione.   Racconti che chi ha amato Camilleri ha letto e riletto più volte.  Come succede con Simenon, il più grande scrittore francese del Novecento al quale Camilleri deve molto: per il suo Montalbano si è ispirato a Maigret, lo ammise lui stesso un giorno che era in vena di confidenze, l’eterna sigaretta fra le dita. E le abbuffate di pesce del commissario siciliano  non sono altro che la versione mediterranea delle choucroute di cui l’ispettore della Suretè  si delizia nei bistrot di Parigi.

Simenon, morto nel 1989 ha scritto più di duecento romanzi, Camilleri, spentosi trent’anni dopo,  c’è andato vicino. E come di Simenon c’è sempre un titolo in libreria, così di Camilleri non ci mancheranno mai i suoi racconti dalla nera copertina di Sellerio: leggere l’uno e l’altro in un’alternanza strategica può essere il modo migliore per trascorrere l’estate con un libro amico in mano.


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