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Rotta balcanica e violenza sui migranti: le bestie e noi

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Un rifugio immerso nella natura e la presenza insolita di poliziotti. Poi, improvvisamente, la violenza. Il portale croato H-Alter denuncia – pubblicando la lettera di un escursionista – le gravi violazioni dei diritti di alcuni migranti

H-Alter ha ricevuto una lettera da un escursionista che ha assistito alla violenza della polizia contro dei migranti a Risnjak. Loro chiedevano dell’acqua. I poliziotti hanno risposto con manganelli e sparando colpi di arma da fuoco. Di seguito la lettera nella sua interezza:

“Sabato 15 giugno siamo andati sulla cima del Risnjak, dove avevamo programmato di passare la notte in rifugio. Quando siamo arrivati nella sala principale del rifugio ho scorto un fucile automatico sul tavolo e due agenti delle forze speciali parlare con la gestrice. Inizialmente la situazione non era chiara, ma abbiamo capito presto che l’unità speciale di polizia era diventata parte integrante della vita quotidiana di quel luogo.

Non abbiamo ricevuto nessuna spiegazione ufficiale del perché vi fossero agenti armati tra di noi, ma la gestrice del rifugio ci ha detto che ‘ci tenevano al sicuro dai rifugiati’. Il tempo passava e conversando in un’atmosfera intima e allegra tipica dei rifugi di montagna, la situazione si è fatta in parte più chiara. La gestrice era molto arrabbiata con questi ‘migranti’ dal momento che uno o più gruppi di rifugiati che attraversavano le montagne per passare poi in Slovenia nell’inverno scorso era entrato nel rifugio per trovare un riparo, del cibo e per scaldarsi.

In merito a questo e simili eventi – introdursi in casette, rifugi e bivacchi – come si può leggere principalmente sui siti web dedicati all’escursionismo e sui media locali, si dice che i “selvaggi” o “loro” vengono e “devastano le abitazioni”, in questo caso particolare, di una donna innocente. Come i poliziotti, la gestrice e parte degli escursionisti spiegavano la vicenda e nessuna delle persone presenti (quindici di noi) ha provato a contestare questa retorica.

Nonostante io non abbia detto nulla in quel contesto, pensavo che anche se l’intromissione nel rifugio fosse davvero avvenuta, è difficile parlarne in termini di devastazione: il rifugio era in buono stato, le finestre non erano rotte, tutte le stanze erano utilizzabili, dai bagni alla cucina, alle stanze da letto… Quindi, se prendiamo in considerazione chi è entrato e perché, è più adeguato parlare di un bisogno umano basilare e di sopravvivenza piuttosto che di devastazione intenzionale e ingiustificata.

Quella sera eravamo tutti seduti all’aperto di fronte al rifugio, e al centro dell’attenzione c’erano gli agenti che rispondevano a varie domande e davano il loro punto di vista e le loro interpretazioni sulla situazione. Siamo allora venuti a sapere che i boschi vengono costantemente pattugliati, che tutto Risnjak era sotto videosorveglianza e che loro erano lì per “dare la caccia” ai rifugiati e ai migranti. I poliziotti lavoravano coordinandosi con la polizia bosniaca. Quando interrogati su cosa fanno quando li “catturano”, hanno risposto che prendono tutti i loro averi e riportano i migranti in Bosnia Erzegovina.

Durante queste conversazioni, hanno anche parlato di vari “eventi”, ridendoci sopra. Per esempio, hanno raccontato di un migrante che era stato catturato per la ventesima volta e che li supplicava di lasciarlo andare per questa volta. Hanno detto che molti migranti conoscono già la procedura, e che non hanno più bisogno di spiegarla loro. Hanno anche parlato di trafficanti che abbandonano i migranti ai piedi del Risnjak, dicendo loro che sono già in Slovenia, così finiscono per vagare spersi tra le colline…

Uno degli agenti ha affermato che i migranti sono “spaventati dalla polizia più di ogni altra cosa”, e ne era particolarmente orgoglioso. Vi sono anche stati commenti su quanto sporchi e stupidi i migranti siano, ma è importante segnalare che uno dei poliziotti ha sottolineato che non è mai stato riportato nessun caso di violenza da parte dei migranti nei confronti dei locali o in generale delle persone che incontrano lungo la loro strada.

Stiamo parlando di migliaia di persone che vagano per le foreste, affamati, assetati, spaventati, e il “crimine” per cui sono giudicati così pesantemente e disumanizzati è che irrompono nelle casette, nei bivacchi e nei rifugi per trovare cibo e riparo nel loro lungo e tortuoso viaggio.

Nonostante il fatto che nessuna violenza sia stata ancora riportata, l’atmosfera generale portava a pensare che i migranti fossero pericolosi e che era davvero un bene che la polizia li cacciasse, e la maggior parte di quelli che partecipavano alla conversazione aderivano a questo punto di vista: ridevano sonoramente alle battute degli agenti e ai racconti delle loro avventure durante la “caccia ai rifugiati”.

Vorrei sottolineare un’altra cosa – a Risnjak, vicino al rifugio, vive una volpe chiamata Pablo. Tutti amano Pablo. A tutti piace darle da mangiare e la gestrice le riserva gli avanzi di cibo del giorno (la volpe qualche volta è accompagnata da tassi o da un orso). Uno degli agenti ha raccontato con gran entusiasmo che una mattina ha dato a Pablo della carne e che dopo la volpe ha leccato del paté direttamente dal pane. L’agente ha sfruttato il momento per girare un bel video della volpe.

Ascoltare queste storie e vedere che lo stesso uomo che dà la caccia ai rifugiati allo stesso tempo dà da mangiare ad una volpe che è già sazia con tale entusiasmo e gentilezza, mi faceva girare la testa – anche la volpe ha il diritto ad un nome e a tutta l’umanità che ne segue. Allo stesso tempo, i rifugiati non sono generalmente visti come esseri umani, nemmeno come creature viventi, al minimo come un disturbo che va rimosso.

Pablo è venuta anche quella sera, e tutti erano entusiasti nel darle da mangiare. Poco dopo è arrivato un tasso, che ha sollevato una meraviglia generale. La stessa sera, circa verso le 11, sono arrivati anche dei migranti. C’erano ancora un paio di persone fuori all’aperto, mentre gli agenti erano al piano di sopra.

I migranti erano in molti e chiedevano dell’acqua. Una giovane coppia ha dato loro immediatamente una bottiglia. Si sono seduti per terra esausti e hanno bevuto. La coppia non ha nemmeno avuto il tempo di avvisarli che la polizia era lì che gli agenti sono corsi fuori allarmati da una delle persone che aveva visto l’arrivo dei migranti.

Sono usciti con i manganelli urlando “stendetevi per terra” e hanno cominciato a colpirli. I migranti hanno iniziato a fuggire, e gli agenti della polizia hanno cominciato a sparare appena sopra le loro teste. In questa situazione di ira e paura, uno dei migranti è caduto dal pendio e, secondo la dichiarazione di un testimone oculare, “si è completamente rotto le ossa” (non possiamo essere sicuri di quanto ferito fosse dal momento che dopo l’evento nessuno di noi ha potuto lasciare il rifugio). Quell’uomo era uno dei sei catturati più tardi (da quello che abbiamo capito dagli agenti il giorno successivo).

I testimoni che hanno visto quanto era accaduto di fronte al rifugio ci hanno detto di essere rimasti scioccati nel vedere come “i migranti sono arrivati e hanno chiesto dell’acqua, e la polizia li ha picchiati e ha sparato”. non appena la gestrice ha sentito queste parole si è schierata in difesa degli agenti, affermando che “non hanno picchiato nessuno” e che erano “bravi ragazzi”, sebbene per quanto io ne sappia, lei non era presente alla scena e non poteva sapere esattamente cosa fosse successo. Ciò nonostante, la gestrice si è seduta con la ragazza che ha assistito all’evento, spiegandole perché le azioni degli agenti erano giustificate.

Tuttavia ognuno di noi ha avuto modo di capire cosa era veramente successo. Dopo quindici minuti, uno degli agenti è entrato nella sala comune. Ansimando, ha chiamato la gestrice per parlarle. Al resto di noi ha detto di stare calmi, dicendoci che eravamo al sicuro, che questo accade tutti i giorni e che quindi non vi era ragione di essere spaventati.

Io non so di cosa stesse parlando. Intendeva di non essere spaventati dai rifugiati che sono venuti per chiedere dell’acqua? O di quelli che sparavano con dei fucili automatici sopra le loro teste, vicino agli altri escursionisti? L’unica paura che ho provato è nei confronti di coloro che danno la caccia alle persone, che le spaventano sparando e poi le cercano nelle foreste per prenderle e riportarle in Bosnia (e potenzialmente picchiarle, perché se non si fanno problemi a farlo di fronte a noi, ho paura di cosa facciano quando non ci sono testimoni), e più di questo, ho paura di quelli che approvano tutto ciò.

Dopo l’accaduto ci hanno rinchiusi nel rifugio e non siamo potuti uscire fino alla mattina dopo. E’ stato fatto “per la nostra sicurezza”, con l’approvazione di alcuni escursionisti presenti.

Ciò che mi ha sconvolto di più di questa situazione è come la storia sia cambiata dalla versione originale, che era “la polizia stava sparando ai migranti che stavano solo chiedendo dell’acqua”, a “questo era solo il primo gruppo da trovare” e che ce n’erano “altri settanta” e che era un bene che la polizia fosse lì per “proteggerci”.

Non c’è più stata una parola (almeno non detta ad alta voce) sul pestaggio e sulla sparatoria, mentre una parte degli escursionisti (che ora sentivano di averne la giustificazione e che la situazione fosse appropriata) hanno cominciato a chiamare i migranti “le bestie” e a descriverli come quelli che sono venuti per combattere contro noi cristiani – aggiungendo una piccola riserva – che ci sono anche tra di loro quelli che sono sofisticati e altamente istruiti, che non sono “così”, qualsiasi cosa “così” significasse.

Solo a quel punto mi sono davvero spaventato – quando ho visto come il focus della storia fosse cambiato in 10 minuti, con i suggerimenti della gestrice, degli agenti e di alcuni escursionisti più loquaci. Da ciò che abbiamo visto – violenza ingiustificata contro dei rifugiati che chiedevano dell’acqua – a una storia in cui erano loro le bestie pericolose.

L’azione degli agenti non era solo ritenuta giustificata, ma anche lodata ad un livello tale che la mattina dopo alcuni li hanno chiamati i nostri “angeli custodi”. Ovviamente, c’erano alcune voci discordanti, e solo grazie a loro ho ottenuto più informazioni, andando oltre questa nuova “storia ufficiale” che ha cominciato a prendere forma poco dopo l’accaduto.

Dopo esserci svegliati, abbiamo bevuto del caffè fuori dal rifugio. L’atmosfera era irrequieta – le persone parlavano concitatamente degli eventi della sera prima mentre gli agenti presentavano un rapporto secondo cui “avevano catturato sei di loro”.

Un paio di escursionisti più ciarlieri non hanno esitato a dire alcune cose molto razziste sui rifugiati. Hanno dato alla loro paranoia e alle loro paure un carattere scientifico e hanno spiegato la differenza tra “noi” e le “bestie” (riferendosi ai rifugiati e ai migranti). Poi ho notato che l’intero cortile puzzava di plastica bruciata e ho scorto i resti di un fuoco.

Presto ho capito che quelle erano le cose che gli agenti avevano preso ai rifugiati (hanno pure offerto una descrizione dettagliata di come tagliano le cinghie dei loro zaini appena li prendono…), i loro zaini e i loro vestiti… Evidentemente gettano tutte queste cose in un fuoco (di fronte a un rifugio, in un parco nazionale, in un “paese civilizzato”). Tra l’altro, sono state bruciate anche le lenzuola e i materassi usati dai migranti quando hanno fatto in inverno irruzione nel rifugio, probabilmente perché ciò che hanno toccato loro un “uomo normale” non lo può più usare.

Quest’esperienza mi ha mostrato quanto sia facile giustificare la violenza nei confronti di altre persone, anche quando accade di fronte ai tuoi occhi. Siamo capaci di interpretare la violenza come se qualcosa di diverso fosse accaduto. Dopo che i rifugiati sono stigmatizzati e disumanizzati con successo, le persone, spaventate dai media e dai razzisti che mentono e speculano su questa paura, sono pronte a giustificare la violenza. Perdono l’abilità di empatizzare, di provare compassione nei confronti di un’altra creatura vivente.

Non scrivo questo per stigmatizzare gli escursionisti, perché la colpa non è di certo individuale. Questo esempio ha mostrato chiaramente che gli esseri umani in un’atmosfera di paura, nazionalismo, e di narrazioni ricorrenti di “altri” e di “eterno odio tra noi e loro”, si sentono più sicuri e superiori solo se parte di una comunità mitica, in questo caso come “cristiani bianchi”. Mi chiedo come possano queste persone credere così facilmente che “si stanno solo difendendo”, che sono gli altri che “attaccano” – altri che sono disarmati, assetati e affamati, che vagano in montagne che non conoscono per giorni.

Per giorni sono rimasto spaventato da quanto accaduto, dalla violenza così vicina, dal fatto che viene fatto anche in “mio nome”, dal fatto che è così attuale e che è solo una questione di tempo prima che si intensifichi ancora di più, portandoci ad un disastro per la maggior parte di noi e alla gioia per quelli che beneficeranno di questa violenza e guerra.

Una frase di uno degli escursionisti continua a tornarmi in mente. La mattina dopo l’accaduto ha detto riguardo ai rifugiati: “Ci sono cose che separano gli uomini dalle bestie, e loro sono solo bestie”. Molte domande e risposte che volevo affrontare con l’escursionista sono rimaste indiscusse, ma vorrei dirgli solo una cosa. In una situazione in cui hai persone che chiedono dell’acqua, e dall’altra parte si risponde con spari e manganelli, con l’approvazione della maggior parte dei presenti, devi davvero chiederti se sei dalla parte delle persone o delle bestie.


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