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Riscattare la povertà rinsalda la democrazia

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La crescita economica è diventata quasi una scommessa impossibile per l’Italia. La povertà diffusa pesa. Le crisi economiche internazionali hanno colpito molti paesi, ma solo il nostro fatica a risollevarsi. Diminuisce nel Belpaese il reddito reale e aumentano precarietà del lavoro e debito pubblico. I sovranisti imputano tutti i guai all’euro ma non è esattamente così. Cerchiamo di capire il problema con alcuni articoli di approfondimento.

Libertà e benessere una volta marciavano insieme, adesso non è più così. Soprattutto in Italia. Le disuguaglianze sociali sono cresciute un po’ in tutto il mondo occidentale con la globalizzazione economica, ma nel nostro paese il fenomeno è diventato esplosivo. Da una parte pochissimi miliardari, dall’altra milioni di diseredati. E’ una situazione insostenibile sul piano politico, economico, sociale, etico. E’ in gioco la stessa sorte della democrazia in Occidente e nel Belpaese.

Il dramma delle disuguaglianze sociali cresce in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, il regno del capitalismo, alcuni candidati democratici alla Casa Bianca hanno chiesto l’aumento delle tasse sui ricchi o una patrimoniale sui paperoni. Non è tollerabile che lo 0,1% dei cittadini più ricchi abbia accumulato un patrimonio pari a quello del 90% dei meno abbienti. Così 18 miliardari, in una lettera aperta, hanno avanzato la sbalorditiva richiesta: «Tassateci di più».

La povertà è salita soprattutto in Italia negli ultimi decenni. Anzi, nell’ultimo anno la situazione è un po’ migliorata: i poveri nel 2018 sono scesi a 5 milioni, un milione in meno rispetto ai 6 milioni del 2017. Un po’ è merito della lieve ripresa economica del reddito nazionale (più 0,9% nel 2018) con i relativi aumenti salariali, un po’ del potenziamento dell’assistenza sociale (il Reddito di inclusione che quest’anno è sostituito dal Reddito di cittadinanza).

Il futuro, però, resta fosco. I poveri nel nostro paese sono il doppio di quelli delle altre nazioni europee. Il sistema produttivo italiano si è impantanato da decenni nella stagnazione. L’assistenza sociale e la beneficenza sono importanti ma  la soluzione è la crescita economica, se non riparte lo sviluppo non si batte la povertà diffusa. I diversi governi che si sono succeduti dopo il terremoto di Tangentopoli non sono riusciti, tranne episodi limitati, a rilanciare il sistema Italia. Gli elettori nel 2018, scottati da mille delusioni, hanno dato via libera al “governo del cambiamento”.

Di Maio e Salvini avevano vinto le elezioni politiche con mille promesse mirabolanti, ma i risultati sono scarsi. Reddito di cittadinanza, pensioni anticipate, povertà diffusa, espulsione degli immigrati irregolari, riduzione delle tasse, taglio dei privilegi, lavoro dignitoso, crescita economica, servizi sociali: solo una minima parte di questi sconfinati impegni (e in misura ridotta) è stata realizzata.

Il trionfo elettorale della Lega nelle elezioni europee del 26 maggio e la parallela disfatta del M5S ha ulteriormente complicato i problemi. I due alleati di governo sono diventati sempre più competitivi e in conflitto tra di loro mentre l’Unione europea ha reclamato una correzione del deficit e del debito pubblico.

Eppure è vitale un riscatto. Nel Belpaese sono poveri non solo i disoccupati e i lavoratori precari. Soffre un grave disagio economico perfino una parte dei lavoratori con un regolare contratto lavoro. Al Sud, poi, la situazione è esplosiva tra disoccupazione di massa, lavoro nero, precariato, fabbriche chiuse o sul punto di chiudere.

Il rebus è complicato. L’instabilità politica causa quella economica. La mancanza di una visione politica del futuro si sente. Manca un governo credibile, manca una strategia su cosa dovrà essere l’Italia da qui a dieci anni in termini di infrastrutture, Stato sociale, modernizzazione istituzionale, economia digitale, innovazione tecnologica, sburocratizzazione. In sintesi: quanto, dove e per cosa investire in opere pubbliche, formazione, industrie avanzate, cultura. C’è da affrontare tutta la nuova frontiera dell’economia ecocompatibile in grande espansione in tutto il mondo. E’ un problema per l’Italia ma anche per l’Unione europea se vuole evitare il rischio disgregazione.

«Case, scuole, ospedali» era lo slogan di Nenni e Saragat al centro del progetti socialisti per riformare e rinnovare l’Italia. E’ un problema unico combattere la povertà, riconoscere dignità alle persone, rinsaldare la democrazia. «La decrescita felice», un tempo nei piani di Beppe Grillo e del M5S, è meglio lasciarla da parte.


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