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Piigs promossi tranne l’Italia

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La crescita economica è diventata quasi una scommessa impossibile per l’Italia. La povertà diffusa pesa. Le crisi economiche internazionali hanno colpito molti paesi, ma solo il nostro fatica a risollevarsi. Diminuisce nel Belpaese il reddito reale e aumentano precarietà del lavoro e debito pubblico. I sovranisti imputano tutti i guai all’euro ma non è esattamente così. Cerchiamo di capire il problema con alcuni articoli di approfondimento.

Nel 2007 c’erano i Piigs, ora sono spariti. Il sinistro acronimo, forse è una coincidenza. somiglia molto alla parola con la quale in inglese si indicano i “maiali”: pigs. Era stato coniato dalla stampa anglosassone per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. I paesi, cioè, economicamente più deboli dell’Europa. Portogallo, Irlanda, Spagna e, soprattutto Grecia, erano in pessime acque ma evitarono il crac finanziario.

I Piigs ce l’hanno fatta grazie a impegnativi piani di rilancio e di risanamento finanziari (con non pochi sacrifici sociali) e consistenti aiuti internazionali. Hanno evitato l’uscita dall’euro, hanno superato la crisi e il reddito nazionale ha ripreso a crescere. Perfino la Grecia, devastata da una gravissima recessione economica, ha ingranato la marcia della ripresa. In Italia invece cala la fiducia. Molte multinazionali abbandonano la Penisola e vanno altrove. Traslocano anche nelle nazioni ex Piigs perché ritenute più competitive ed affidabili (Dado Knorr della Unilever, ultimo caso, smobilita dalla Penisola e fa rotta verso il Portogallo).

Tutti sono fuori dalla crisi con una sola eccezione: l’Italia. Dopo la lieve ripresa del 2018 (più 0,9% il Pil) si presenta un bruttissimo 2019. Giuseppe Conte aveva parlato di «un bellissimo 2019». Luigi Di Maio aveva intravisto un possibile «nuovo boom economico» stile anni Sessanta. Matteo Salvini più prudentemente aveva annunciato: «A fine 2019 avremo il segno più».

Tuttavia il presidente del Consiglio, il ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, e il ministro dell’Interno hanno rivisto gli annunci ottimistici. Il “governo del cambiamento” dapprima aveva stimato un aumento del reddito dell’1,5% per quest’anno, poi l’aveva ridotto a più 1%, quindi ha tagliato la previsione ad una crescita di appena lo 0,2%. Ma anche questa cifra rischia di essere ottimista: la commissione europea ha calcolato una crescita dello 0,1%. I dati del primo trimestre dell’anno sul Pil sono stati una doccia gelata per l’esecutivo grillo-leghista.

Va tutto giù: la fiducia, la produzione industriale, il turismo, i salari reali. Salgono invece la pressione fiscale, il deficit e il debito pubblico. Resta alto lo spread nonostante la compressione dei tassi d’interesse europei pilotata da Mario Draghi. A Palazzo Chigi si susseguono i burrascosi vertici di governo dopo il trionfo della Lega alle elezioni europee e la disfatta del M5S. Certo non aiuta la “guerra dei dazi” ingaggiata da Donald Trump con la Cina e il Messico. C’è un rallentamento mondiale della crescita economica ma il Belpaese è l’unica “maglia nera”, è il solo ad oscillare tra la stagnazione e la recessione.

I rigidi parametri per l’euro, con tetti al deficit e al debito pubblico, sono forti ostacoli al rilancio. Servirebbe una nuova politica europea diretta a sostenere la crescita, gli investimenti e l’occupazione. Comunque emerge il dato dell’Italia ultima in classifica. Portogallo, Spagna, Irlanda, Grecia sono riusciti a risollevarsi anche con le attuali regole per l’euro.

Albert Einstein enunciava un principio: «La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. E’ nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie». Per l’Italia in crisi permanente questa norma non sembra valere. Anche i geni come Einstein possono sbagliare.


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