La candidata a presidente della Commissione alla ricerca del consenso che ancora non ha strizza l’occhio ai populisti. La sfida dell’integrazione europea
Di Alessandro Cardulli
Una seduta plenaria del Parlamento europeo al buio, tanto più trattandosi di eleggere il/la presidente della Commissione Europea, almeno nei nostri ricordi, non si era mai vista. Come si dice, c’è sempre una prima volta. Certo, anche in altre occasioni non tutto è filato liscio, non è stato mai facile trovare gli accordi fra i partiti, la “spartizione” fra popolari e socialisti, tanto per citare un esempio. Ma questa volta, al momento in cui scriviamo il buio è proprio buio a poche ore dalla seduta a Strasburgo che si svolgerà martedì con il voto previsto alle ore 18. Addirittura la candidata che è stata indicata dal Consiglio europeo (i capi di governo dei 28 paesi) a presidente della Commissione europea, la ministra tedesca Ursula Von der Leyen, voluta dalla Merkel, di fatto ha interrotto il giro di consultazioni alla ricerca di una maggioranza che non ha. Consultazioni che potevano diventare pericolose. Si era parlato, perlomeno così lo aveva annunciato il parlamentare italiano Marco Zanni, capogruppo a Strasburgo della Lega, facendo intendere che i 28 eurodeputati leghisti avrebbero potuto dare il loro voto alla von der Leyen. La quale, dal canto suo, negli incontri avuti con i diversi gruppi parlamentari aveva lasciato intendere che se arrivavano i voti dei populisti, quei partiti risultati sconfitti nelle elezioni, sarebbero stati i benvenuti. “Sono contraria alle loro politiche, ma non ai loro voti”. Aveva aggiunto che escludeva i voti della Lega, sapendo che avrebbe incontrato l’opposizione dei parlamentari italiani del Pd. Ursula von der Leyen che d’ora in poi chiameremo VdL, come si usa in Germania, dovrà essere votata dalla maggioranza assoluta dell’aula, cioè la metà dei deputati più uno: significa che deve ricevere almeno 374 voti. Il voto sarà a scrutinio segreto. Verdi – che controllano 74 seggi – hanno fatto sapere che non voteranno per lei, e in questi giorni VDL cercherà di capire se i gruppi dei Socialisti e dei Liberali la appoggeranno in maniera compatta. Stando alle notizie che circolano a Bruxelles e a Strasburgo la maggioranza non è assicurata. Oltre ai Verdi, la sinistra della Gue, parte dei socialisti, hanno annunciato che non voteranno la ministra tedesca voluta dalla Merkel in accordo con Macron.
Sotto il cielo di Bruxelles-Strasburgo ancora molte nuvole
A dirla in poche parole, sotto il cielo di Bruxelles-Strasburgo ci sono molte nuvole, ancora tante incertezze. Tanto che da Bruxelles viene diffusa una nota da attribuire, come si dice in gergo, ad ambienti della candidata dove si afferma che “nessun incontro è previsto, prima del voto di martedì al Parlamento europeo fra Ursula Von derLeyen, la candidata designata dai Ventotto alla presidenza della Commissione europea, e il gruppo sovranista al Parlamento europeo”. La ministra della difesa tedesca è intenzionata ad incontrare alla vigilia del voto il suo gruppo, i Popolari. Nei giorni scorsi ha già incontrato gli S&D, Renew Europe, i Verdi e la sinistra Gue. Obiettivo è avere una maggioranza di forze pro-Ue che la sostengano martedì pomeriggio a Strasburgo. La situazione è fluida e manca un vero e proprio centro di gravità, ma Von derLeyen conta sul sostegno delle forze pro-Ue per poter formare una commissione politica e non di tecnici. La ministra della difesa tedesca deve ancora dare forma al suo collegio, al momento non avrebbe ancora una chiara idea di come sarà composta la futura commissione. Il candidato alla presidenza della Commissione, Ursula Von der Leyen, sarebbe favorevole a concedere un certo margine di flessibilità sui conti pubblici, ma non con le posizioni estreme formulate dal governo italiano.
I Verdi si sono chiamati fuori. I loro voti assicurerebbero la maggioranza
Insomma, se non al buio, allo stato attuale è difficile prevedere la elezione del/della Presidente della Commissione in prima battuta, a meno che i Verdi rivedano la decisione di non dare il proprio voto alla candidata voluta dalla Merkel. Perché è lei che sta giocando in prima persona la partita. Vuole, fortemente vuole, una “sua” presidente delle Commissione. Ed ha trovato il sostegno di Macron. Quando sembrava che l’accordo con i popolari tedeschi fosse stato trovato sul nome del socialista belga, Timmermans, che a partire da novembre 2014 era diventato il primo vicepresidente della Commissione europea di Juncker, forse premuta dalla destra del suo partito di cui fa parte anche Orban, il capo del gruppo di Visegrad, xenofobi, razzisti, cambiava idea.
Perché è saltata la candidatura del socialista Timmermans. Retromarcia di Merkel
Nell’ottobre del 2018 Timmermans aveva annunciato la sua candidatura alla carica di presidente della Commissione europea in vista delle elezioni europee del 2019. Nel dicembre 2018, durante il Congresso di Lisbona, il Partito dei socialisti europei lo acclama candidato. È stato formalmente nominato candidato comune PES a Madrid nel febbraio 2019. Il suo programma è all’insegna di un’Europa più solidale e più equa: “Investimenti di lungo termine che accompagnino la transizione verso la green economy, salario minimo, lotta al cambiamento climatico che può essere combattuta solo a livello Ue, una tassa sul carbone, una giustizia sociale che sia anche giustizia fiscale”. Si definisce “ecologista e femminista” e sostiene che bisogna “cambiare le regole in Europa perché basta con l’austerità ma se un governo vuole convincere gli altri a cambiarle, non può ignorarle”. Una candidatura che poneva problemi di fondo, di revisione dei trattati, a partire da quello di Dublino, una politica economica e sociale, nuove regole per il cambiamento. Niente da fare. Cambiato l’orizzonte cambia lo scenario. Sarebbe assurdo, come è stato detto nella assemblea nazionale del Pd eleggere un presidente con i voti della Lega di Salvini, il vicepremier, di fatto il capo, di un governo contro il quale le forze democratiche si battono in Italia. Alleati in Europa e avversari in Italia.
Sassoli (presidente Parlamento europeo). Troppe ingiustizie in Italia e in Europa. Il ruolo del Pd
Proprio all’Assemblea nazionale del Pd, David Sassoli, neo presidente del Parlamento europeo nel corso di un intervento molto applaudito aveva sottolineato che “in questo momento nel nostro Paese e in Europa troppe ingiustizie chiedono di noi e se non saremo concentrati in uno sfondo di cambiamento chi è in difficoltà non ce la farà”, ha detto. “Anche noi dobbiamo sentirci responsabili se molti freni inibitori si sono allentati e corrodono quel senso di umanità – dice Sassoli – senza il quale un’ingiustizia diventa un’ingiustizia più grande. Per questo serve il Pd: non per addestrarci a sopravvivere, ma per confrontarci e scommettere sul nostro destino. Attrezziamoci, mettiamo nello zaino le cose indispensabili e togliamo il superfluo perché il cammino è in salita”. Un appello molto chiaro, molto sentito dalla platea, un invito a dare un contributo alla integrazione europea, una svolta nel progetto europeo, una maggiore solidarietà tra stati membri. Progetto europeo di cui si è parlato in una iniziativa paneuropea promossa dall’ex premier Enrico Letta, la ‘Budapest European Agora’, che ha accolto nella capitale ungherese 130 giovani di 25 nazionalità per discutere le priorità della nuova Commissione europea. Tra le personalità l’ex presidente della commissione Romano Prodi e i commissari uscenti Pierre Moscovici, Carlos Moedas, Tibor Navracsics. Numerosi i messaggi lanciati da Budapest, primo fra tutti quello della necessità di una svolta del progetto europeo verso una maggiore solidarietà tra stati membri su temi come le migrazioni e la giustizia sociale, e la condanna unanime dello stop ai negoziati con i Verdi da parte della candidata del Consiglio europeo per la presidenza della Commissione, Ursula Von der Leyen.
Enrico Letta (Pd). La candidata è partita col piede sbagliato
“È partita col piede sbagliato. Rompere coi Verdi è un errore, i cittadini europei con il voto di maggio hanno dimostrato di pretendere un’Europa più sostenibile e attenta ai temi ambientalisti”, ha dichiarato l’ex premier Letta a margine della prima giornata di incontri. Sulla stessa linea il commissario uscente agli affari economici e monetari, che usa toni più pacati. “Se volete delle istituzioni che funzionino per i prossimi quattro anni, non dimenticate i Verdi, non marginalizzate i soci democratici”. Critiche sul mancato accordo anche da parte di Romano Prodi che giudica positivo includere i Verdi nella maggioranza al PE e che proprio in casa di Orban attacca i populisti del vecchio continente: “Dicono di non voler essere schiavi di Bruxelles ma sono disposti ad essere schiavi di qualcun altro. E non avranno alcuna voce in capitolo a Mosca, Pechino o Washington”. Letta, che ha concluso le quattro giornate di incontri, ha esortato i giovani partecipanti ad affrontare le sfide dell’integrazione europea senza negare i numerosi disaccordi che contrappongono i paesi di Visegrad all’Europa dell’ovest: “Mettere la testa sotto la sabbia, pretendere che i problemi non esistano, è il miglior modo per danneggiare la costruzione europea e lasciare il campo ai populisti”. L’iniziativa, arrivata al suo quarto ed ultimo giorno, ha visto il sostegno di alcuni tra i più prestigiosi istituti di formazione e think tank europei come la Bertesmann Stiftung, il Delors Institute di Parigi e Berlino, la Fondazione della Hertie School e la Scuola di Politiche.