Il pluralismo dell’informazione è essenziale per una democrazia. Lo ha ribadito la Corte Costituzionale nel giudizio sollecitato dal Tribunale di Catania in relazione al procedimento in essere tra la società Ediservice srl e la Presidenza del Consiglio dei ministri e altri. La Corte, pur respingendo le eccezioni sollevate dal Tribunale di Catania in merito alle disposizioni di legge del 2008 e del 2012, ha comunque auspicato un intervento del Parlamento in tema di risorse per il sostegno all’editoria al fine di colmare una serie di gravi lacune di fondo, evidenziate, in particolare, dalla loro mancata armonizzazione con le disposizioni normative, anch’esse primarie, che fissano i requisiti per accedere ai contributi (nella specie quelli diretti per le imprese editrici ammesse), procedendo anche alla loro quantificazione. Tra i passaggi cardine quello in cui si sottolinea come “in un settore come quello in esame, caratterizzato dalla presenza di un diritto fondamentale, vi è l’esigenza che il quadro normativo sia ricondotto a trasparenza e chiarezza, e in particolare che l’attribuzione delle risorse risponda a criteri certi e obiettivi.”
E in seguito vengono ribaditi principio basilari che alcuni in tempi recenti hanno cercato di accantonare. Eccoli: la libertà di manifestazione del pensiero, di cui è espressione la libertà di stampa, costituisce un valore centrale del nostro sistema costituzionale e il rapporto tra libertà di manifestazione del pensiero e regime democratico è “coessenziale al regime di libertà” garantito dalla Costituzione”, “pietra angolare dell’ordine democratico”, “cardine di democrazia nell’ordinamento generale”. E ancora: il diritto dell’informazione “è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle anzi che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com’è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale”.
In mancanza di una specifica disciplina costituzionale dell’informazione, la giurisprudenza costituzionale ha poi sempre ricondotto il relativo diritto nell’ambito di tutela della libertà costituzionale di manifestazione del pensiero, atteso che l’art. 21 della Costituzione “solennemente proclama uno tra i princìpi caratterizzanti del vigente ordinamento democratico, garantendo a “tutti” il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero “con ogni mezzo di diffusione” e detta per di più ulteriori e specifiche norme a tutela della stampa, quale mezzo di diffusione tradizionale e tuttora insostituibile ai fini dell’informazione dei cittadini e quindi della formazione di una pubblica opinione avvertita e consapevole”.
Secondo questa sentenza il “diritto all’informazione” va determinato e qualificato in riferimento ai princìpi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale. Di qui deriva l’imperativo costituzionale che il “diritto all’informazione” garantito dall’art. 21 della Costituzione sia qualificato e caratterizzato dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie – che comporta, fra l’altro, il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l’accesso del massimo numero possibile di voci diverse – in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti. Pertanto l’informazione esprime «”non tanto una materia, quanto una condizione preliminare per l’attuazione dei princìpi propri dello Stato democratico”.
Molti i commenti seguiti alla pubblicazione della sentenza, tra i primi quello del segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Raffaele Lorusso, che sottolinea come questa sentenza della Corte Costituzionale “in materia di contributi all’editoria riveste particolare importanza. Pur non riconoscendo l’esistenza di alcun diritto soggettivo delle imprese editoriali a ricevere contributi pubblici, la Consulta ribadisce che tutelare e sostenere il pluralismo dell’informazione è “un imperativo costituzionale”. Per questa ragione ha ritenuto censurabile la fissazione dal parte del governo delle disponibilità finanziarie da destinare all’editoria, in assenza di criteri certi e obiettivi fissati dal legislatore. Questo passaggio della sentenza rende necessario l’intervento del Parlamento per ridefinire tali criteri e obiettivi”.
L’attuale sistema, rileva infatti la Corte Costituzionale, “è affetto da un’incoerenza interna, dovuta a scelte normative che prima creano aspettative e poi autorizzano a negarle”.
“Tutto il contrario della narrazione propinata dal sottosegretario all’Editoria, Vito Crimi, e dai suoi sodali, basata su un assunto evidentemente falso, quello cioè che i governi precedenti l’attuale,avrebbero elargito le risorse con assoluta discrezionalità. – aggiunge Lorusso – L’unica discrezionalità ravvisabile in questa vicenda è quella del sottosegretario in carica che si è arrogato il diritto di tagliare il fondo per il pluralismo dell’informazione, ponendo le basi per la chiusura di numerose testate e la perdita di un migliaio di posti di lavoro. È pertanto auspicabile che il Parlamento si riappropri della materia e riscriva le regole per un settore che va rilanciato anche con il sostegno pubblico, esattamente come avviene in altri Paesi dell’Europa e del mondo. Anziché rallegrarsi per i tagli, il sottosegretario Crimi farebbe bene a riflettere sul fatto che l’Italia è al penultimo posto in Europa per i finanziamenti all’editoria e a riconsiderare l’impostazione data ai cosiddetti Stati generali, diretta a colpire il pluralismo, a cancellare il pensiero critico, a ridurre i posti di lavoro e, in ultima analisi, a impedire all’opinione pubblica di informarsi correttamente”.