a cura della redazione di Cosa Vostra
Nel libro “Mafia come M” abbiamo voluto inserire anche la stagione dei sequestri di persona avvenuta in Veneto tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta. Infatti, spulciando le cronache giornalistiche di qualche decennio fa, ci siamo accorti di quante persone siano state rapite da organizzazioni criminali per ottenere i soldi dei riscatti. Vicende spesso dimenticate e poco conosciute, così come i nomi delle vittime e i drammi familiari collegati.
“In Veneto, ad esempio, la Mafia del Brenta si era resa protagonista di alcuni rapimenti, spesso fallimentari, come nei casi di Marina Rosso Monti e dell’industriale Renato Andretta. Poi anche l’anonima sequestri aveva rapiti e successivamente liberato Gianni Comper e Sergio Mosole; la ‘Ndrangheta aveva sequestrato Carlo Celadon nel 1988 e rilasciato dopo 831 giorni di prigionia – il più lungo della storia – in Aspromonte. Diversa sorte era toccata a Marco Padovani, rapito sempre dalla ‘Ndrangheta nel 1982 e liberato dopo un anno, dietro pagamento di riscatto; egli, però, sarebbe uscito psicologicamente distrutto da quella terribile esperienza, tanto da suicidarsi nel 1985”.
Rapire una persona al fine di ottenere il riscatto sembrava essere davvero un reato facile e imitabile, tanto che anche una donna fu rapita da alcuni imprenditori piemontesi, mentre una ragazza fu sequestrata da alcuni studenti.
“Ma nel Nordest chi orchestrava e perpetrava questo crimine per lo più faceva parte della cosiddetta “banda dei giostrai”. E giostrai lo erano di nome e di fatto. Così, per restare in tema, è stata ribattezzata “Operazione Luna Park” l’azione delle Forze dell’Ordine, avviata con le inchieste dei giudici Francesco Saverio Pavone e Carlo Mastelloni. Nel 1987 il dottor Pavone aveva fatto arrestare una trentina di criminali, poi altri sei nel 1990. Nel 1994 il dottor Mastelloni aveva emesso altri quarantaquattro mandati di cattura: con la collaborazione del ROS dei Carabinieri, la Direzione distrettuale antimafia di Venezia, aveva fermato il gruppo criminale in questione. Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Abruzzo”.
Tra il 1975 e il 1986 la “banda dei giostrai” aveva messo a segno un numero impressionante di sequestri di persona. “Vittime erano uomini facoltosi, spesso imprenditori, ma anche ragazze minorenni. I rapimenti venivano messi in atto persino sulle attrazioni dei luna park. Non deve trarre in inganno il nomignolo della banda, che di un’organizzazione mafiosa sembrava condividere alcuni aspetti: la struttura gerarchica e l’omertà che vigeva all’interno delle famiglie dei giostrai, assai restie a collaborare con lo Stato. Spesso gli affiliati non conoscevano i nomi di chi partecipava ai delitti (per rendere ancor più difficile il lavoro dell’Autorità Giudiziaria nel caso di fermo di un sospettato); soltanto le menti dell’organizzazione, i vertici, conoscevano le identità dei criminali”.
Inoltre non tutti i rapimenti si erano conclusi con un “lieto fine”; ad esempio l’mprenditore milanese Gianfranco Lovati Cottini, rapito a Caorle, fu trovato carbonizzato nella propria auto malgrado fosse stato pagato interamente il suo riscatto; non sarebbe stata l’unica vittima.
Nel libro abbiamo raccolto i nomi di chi ha subito un sequestro, nomi che uniscono il Veneto a quanto accadeva nel resto d’Italia. Poi, c’è l’importante tema del riciclaggio del denaro sporco. Che fine hanno fatto i soldi dei sequestri di persona? “Parecchi miliardi, secondo l’inchiesta giudiziaria, erano finiti nei circuiti dei casinò jugoslavi, gestiti della Mafia del Brenta, anche per conto della mafia siciliana – in quegli anni infatti i rapporti “criminali” nel Nordest erano divenuti sempre più stretti e significativi. E così, anche in questa vicenda, ricompaiono nomi già noti alle cronache per attività illecite, come quello del milanese Mario D’Agnolo e quello del chioggiotto Armando Boscolo Meneguolo”.
Infine sottolineiamo quanto sia stato difficile l’attività giudiziaria che ha portato all’arresto della “banda dei giostrai”. Attraverso cinque collaboratori di giustizia si è riusciti ad individuare i capi della struttura criminale, ma catturarli non è stato semplice. Ad esempio, “Walter Prina, detto “Cinenti”, è stato arrestato soltanto nel 2008, grazie a circostanze fortuite: un brigadiere l’ha riconosciuto – nonostante la patente falsa – perché era stato lui ad arrestarlo vent’anni prima, per un sequestro di persona. In caserma, Prina ha mantenuto fino all’ultimo la calma, arrendendosi soltanto davanti alla prova schiacciante fornita dalle impronte digitali. Vicenda dalle tinte romanzesche, che non devono però distogliere l’attenzione dal chi ci troviamo di fronte: capi responsabili di un’organizzazione criminale, talvolta assassini”.
[Tratto da “Mafia come M. La criminalità organizzata nel Nordest spiegata ai ragazzi” – Linea Edizioni, 2019]