Felpato, “indolente”, di raffinata e mai esibita cultura umanista anche Ugo Gregoretti, prossimo ai 89 anni, infittisce la lista nera di questa ennesima estate irrespirabile e crudele: spentosi, dopo lunga malattia, nella sua amata casa di Roma, sua città natale, ancora fervido di fantasie e irrefrenabile voglia di eloquio. Aveva appena 23 anni, Ugo Gregoretti, quando entrò per la prima volta alla Rai da impiegato, un mese prima che la tv italiana “si illuminasse”. Rimase per sempre (incistato nel “sistema” da posizioni di guadagnata stima e privilegio) uno spirito libero, un regista dissacrante, un “artefice” fuori dai convenevoli e capace di improvvise capriole espressive-interpretative. Senza mai rinnegare la sua appartenenza (con relative protezioni) ad una sinistra organica e di arco parlamentare, così come rappresentò il personaggio di se stesso, sardonico e flemmatico, in “La terrazza” di Ettore Scola. E, ancor prima nell’impareggiabile ed ineffabile “auto elogio” del marito “cornuto” ben consapevole di avere sposato “una donna zoccola” perché tale la conosceva ed amava sin da ragazza: “lei, la madre, la zia, la sorella, nessuna esclusa”. Tanto da togliersi il “dente ed il pensiero” in un solo colpo (il film evocato è “Amore mio aiutami” di Alberto Sordi con Monica Vitti grande commediante di “passioni, adulteri e inestricabili doveri famigliari”)
L’aneddotica, di cui Gregoretti era un cultore, vuole che dovendo egli trovare “occupazioni inusitate” presso il nuovo ente radiotelevisivo “gli fosse stata affidata la ricerca del santo patrono dell’etere; e quando, nella meraviglia generale, la sua candidatura di Santa Chiara fu approvata da Papa Pio XII, il ragazzo di bottega si conquistò i galloni di regista per la sua prima vera regia”: un corto d’autore su «La Sicilia del Gattopardo» con cui vinse il Prix Italia ndel 1960 (riconoscimento considerato, a quel tempo, un vero Oscar della tv italiana ai suoi albori). L’anno dopo il suo primo vero programma «Controfagotto»: 8 puntate tra inchiesta e satira sociale nell’Italia minore che ebbero grande popolarità e gli permisero di coniare un linguaggio nuovo con una libertà espressiva venata di paradosso surreale che diventerà la sua cifra distintiva.
C’era, in quella serie di ritratti dedicati a personaggi e situazioni di un paese ancora sospeso tra città e campagna, una vena potente che anticipava le grandi inchieste di altri cineasti come Soldati e Comencini, la candid camera di Nanni Loy, ma anche l’adesione empatica dell’intellettuale alla gente comune che poi Sergio Zavoli avrebbe tradotto in giornalismo televisivo maiuscolo.
Nel 1962 Ugo Gregoretti avvia anche la sua carriera cinematografica con i «I nuovi angeli» , un viaggio antologico a episodi tra la nuova generazione di adolescenti che cresceva all’ombra del boom economico. Girato a basso budget ma distribuito da Titanus, interpretato da attori non professionisti secondo la lezione del neorealismo, il film coglieva in nuce le aspirazioni sociali e l’etica politica di un autore che negli anni successivi avrebbe abbracciato l’ala più movimentista della Sinistra italiana in appassionata dialettica con l’ortodossia comunista. Da lì, prima e durante i fermenti del ’68, sarebbero nati i film più celebri e impegnati di Ugo, da «Il pollo ruspante», episodio di «Ro.Go.Pa.G» a «Omicron» (entrami del ’63) a «Apollon» (1969).
Il suo stile dissacrante e gioiosamente beffardo si dispiegava però meglio in tv, quasi un controcanto alla cultura ufficiale, con sceneggiati memorabili tra «Il circolo Pickwick» (1968) a «Le tigri di Mompracem» (1974), da «Romanzo popolare italiano» (del ’75) a «Uova fatali» del ’77. A intervalli regolari, tornava comunque al documentario militante («Vietnam, scene del dopoguerra», 1975 o «Comunisti quotidiani», 1980). Ovvero si regalava “incursioni” nelle sue altre, grandi magnifiche ossessioni: la musica operistica e il melodramma, come poi celebrate nell’autobiografico e purtroppo dimenticato «Maggio musicale» del 1990, ambientato interamente e singolarmente in “certa” Firenze cara anche a Zeffirelli: meritevole di riproposizione televisiva in sua memoria e di quel suo certo gusto, snello, penetrante, antiretorico di concepire il linguaggio della immagini
Ps Di tutto rispetto anche l’apporto e il rapporto fra Gregoretti e il teatro rappresentato. Nel 1978 firma la sua prima regia con “In bugiardo” di Goldoni, protagonista Gigi Proietti, cui fanno seguito “serate” monografiche – dallo Stabile di Torino al Ghione di Roma- dedicate a Petrolini, Viviani, Jarry e il “giovane” Satta Flores di “Dai, proviamo!” Nel 1990, si cimenta con Pirandello e “L’uomo, la bestia, la virtù”, nel 1991 con Eduardo e “Uomo e galantuomo”. Direttore e fondatore di “Benevento Città Spettacolo”, il regista elabora (nel 1998) uno stravagante, surreale adattamento del “Purgatorio”, in una sintesi e antologia di sequenze che si impone al Festival di Borgio Verezzi.
Apprezzate le sue regie di opere liriche, da “Un ballo in maschera” al San Carlo di Napoli all’”Elisir d’amore” al Festival dei Due Mondi di Spoleto, dal “Barbiere di Siviglia” al Comunale di Firenze alle “Convenienze e inconvenienze teatrali” alla Fenice di Firenze.
Dal 1985 al 1989 Ugo Gregoretti è stato presidente dell’Accademia Nazionale di Arte Drammatica “Silvio D’Amico”.