“Se v’è un luogo in Italia che non dovrebbe subire infiltrazioni estranee, è proprio questa selva sacra” (Guido Piovene, Viaggio in Italia, 1953-56)
Certo non possiamo attribuirgli un altro significato, quand’egli in questo passo scriveva dell’Umbria e del Monteluco a Spoleto, ma leggere queste righe oggi alla luce di quanto distorto è stato il nostro paesaggio – in tutti i sensi! – fa un certo effetto.
Veniamo a noi. La prima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) del 2018 pubblicata in febbraio vedeva, soprattutto in provincia di Perugia, la presenza di famiglie mafiose calabresi e campane. Ciò era correlato e spiegato dalla presenza a Spoleto e Terni delle carceri di massima sicurezza che applicano il 41bis (c.d. carcere duro) che favorisce l’insediamento dei familiari dei detenuti e la conseguente possibilità per loro di reinvestire risorse in una regione fino a qualche anno fa considerata una “zona franca” della mafia.
Già con l’attività di ricostruzione post sisma del 1997 si registrò una presenza insidiosa della ‘ndrangheta. Le ‘ndrine sono cellule autonome che operano sul territorio con estorsioni e narcotraffico facendo riferimento alla madre calabrese. La camorra che invece è specializzata nel rimpiego di capitali di provenienza illecita, si trova d’accordo nelle attività di riciclaggio, della tratta di esseri umani, del traffico e dello spaccio di sostanze stupefacenti appoggiandosi e gestendo alcuni locali notturni anche per lo sfruttamento della prostituzione.
Non è raro che campani, calabresi e siciliani, inoltre, formino sodalizi criminali nel settore edile: numerosi accertamenti vengono svolti dalle forze dell’ordine per accertare eventuali infiltrazioni in imprese operanti in appalti e subappalti dopo il terremoto del 2016. Trovarono riscontro le operazioni condotte contro i clan camorristici Fabbrocino, Terracciano e Casalesi, contro le ‘ndrine Giglio, Farao-Marincola, Maesano-Pangallo-Favasuli-Scumaci, contro la scu dei Martorano-Stefanutti. Si avverte della presenza di affiliati a Cosa nostra tramite il sequestro di alcuni appezzamenti di terreni.
Perugia in questa relazione è ancora considerata un’importante piazza di spaccio per il mercato della droga nel centro Italia. L’eroina arriva attraverso soggetti nigeriani, la cocaina viene trasportata dagli albanesi, mentre lo spaccio al dettaglio è affidato ai tunisini e ai magrebini.
Nella seconda relazione pubblicata nel mese corrente, anche se la presenza sul territorio resta accertata, non emergono “interessi strutturati”. Forse la vera novità è relativa alla ‘ndrangheta che conserva nel traffico di droga una delle sue punte di diamante, stringe legami con le cosche di origine creando “accordi con la criminalità albanese e romena”.
“Gli ambienti più esposti al riciclaggio a rischio” conferma la relazione della DIA, “risulta quello dei locali da intrattenimento. Anche il comparto edile appare esposto, con imprese e costruzioni di fatto controllate da referenti di soggetti legati a sodalizi campani, calabresi e siciliani, che potrebbero insinuarsi nelle fasi di ricostruzione dei numerosi centri abitati siti nel ‘cratere’ interessato dell’evento sismico del 2016”.
Secondo l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei Beni Confiscati (ANBSC) emerge che in Umbria “sono in atto le procedure per la gestione di 73 immobili, tutti nella provincia di Perugia, mentre altri 43 sono stati già destinati. Sono altresì in atto anche le procedure per la gestione di 5 aziende, mentre una è già stata destinata”. Dei Fabbrocino, gestite dal genero del capoclan da anni trasferitosi a Bastia Umbra, sono state sequestrate alcune aziende agricole nella zona di Bettona (op. “Fulcro”, indagine DIA 2012). Alcuni immobili riconducibili ai Terracciano si trovavano invece nelle due province (sequestro di beni op. “Ronzinante” 2013, prosieguo op. “Lapdance”).
Dato l’isolamento di alcune aree, l’Umbria si presta bene come nascondiglio per i latitanti, soprattutto campani. Ad esempio, a Terni nel 2008 è stato arrestato un esponente dei Casalesi che si era rifugiato con la famiglia a Rivo, poi nel 2015 è stato catturato il capo dei Sibillo; a Montone nel 2011 è stato invece arrestato un affiliato al cartello Farina-Martino-Micillo legato ai Belforte di Marcianise.
“L’Umbria è oggetto di incursioni per la commissione di reati predatori” riprende la seconda relazione DIA 2018, “commessi da soggetti provenienti da altri contesti, in particolare da parte di siciliani e nomadi stanziali nel Lazio”.
Contro la mafia nigeriana resta rilevante l’op. “Pusher 3 – Piazza Pulita” che a Perugia nel luglio 2018 portò all’arresto di 25 persone responsabili dello spaccio di eroina e di marijuana. Mentre, pochi giorni dopo, nell’op. “Nigerian Cultism” ne sono stati fermati 8 responsabili del reclutamento e dello sfruttamento di diverse donne che, minacciate tramite la pratica del voodoo, erano costrette a corrispondere il provento delle attività di prostituzione per rimborsare l’organizzazione delle spese sostenute per il viaggio dalla Libia all’Italia.
Rimane agli albanesi il compito “di gestire l’intera filiera dall’approvvigionamento,
in Albania, alla lavorazione e, quindi, all’attività di spaccio”. In tale contesto si inserisce l’op. “Big Rock” del 2017 nei confronti di 36 soggetti albanesi impegnati nel rifornimento della cocaina destinata alle piazze di spaccio. La Polizia di Stato nel luglio dello scorso anno ha poi dato esecuzione a un provvedimento restrittivo emesso nella suddetta operazione con l’arresto di un latitante presso l’aeroporto di Perugia. Parlando del capoluogo di regione prosegue la Dia “le aree interessate all’illecita attività di spaccio si sono progressivamente estese dal centro storico, ed i quartieri ad esso contigui, alla parte sud-est della città, comprendente la zona della Stazione Ferroviaria e le aree limitrofe” e inoltre, “spostando l’attenzione ai reati predatori, il fenomeno delle rapine ha visto la città di Perugia tra gli obiettivi di tali azioni criminali ai danni di banche, sale da gioco, agenzie di scommesse, laboratori orafi ed altre attività commerciali, oltre ad abitazioni private. A riguardo va segnalata un’indagine che nel dicembre 2018 ha consentito di sgominare due ‘bande’ specializzate in tali reati, coordinate tra loro e con analoghe modalità esecutive: una con base ad Assisi (PG), l’altra a Prato”. Dunque è lecito supporre che da Perugia la droga viaggi attraverso le arterie urbane in altre città come Foligno, Terni e Spoleto.
La relazione, pur non ravvisando movimenti all’interno della regione tali da far presagire un’infiltrazione specifica, tiene a sottolineare la presenza mafiosa precedentemente citata delle ‘ndrine, delle cosche camorristiche e della criminalità pugliese e lucana, come a voler continuamente porre l’accento su un fenomeno in crescita che non deve essere sottovalutato.
Si ricorda così l’op. “Ghost Truck” nella quale le Fiamme Gialle del nucleo perugino avevano “proceduto all’arresto di un pregiudicato campano, già condannato per associazione di tipo mafioso” e in contatto con esponenti della ‘ndrangheta e di consorterie albanesi, “ritenuto responsabile di intestazione fittizia di beni, omessa comunicazione di variazioni patrimoniali nonché di false attestazioni all’Autorità Giudiziaria (…) aveva fittiziamente intestato le quote di una società di autotrasporti, operante nel Folignate, ad un suo prestanome. Aveva quindi depauperato il patrimonio dell’azienda sottraendo denaro, crediti e automezzi societari per un valore di circa 100.000 euro”.
Per ciò che riguarda la sacra corona unita si evidenzia l’indagine “Ndrangames” nel 2017 che colpì “l’operatività del clan potentino Martorano-Stefanutti individuandone le connessioni operative con la ‘ndrangheta del crotonese nel settore del gioco illegale”.
A Terni, “recenti indagini hanno disarticolato alcune organizzazioni criminali (anche a composizione multietnica) dedite alle rapine, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, allo sfruttamento della prostituzione ed al traffico di sostanze stupefacenti” la cui vendita era rivolta spesso ai minorenni. Indagini come l’op. conclusa dalla Polizia di Stato e dai Servizi Antidroga nel dicembre 2018 nei confronti di 29 pregiudicati di origine africana.