“My father has passed. His fight was noble, he tried to maintain dignity in light of losing his sovereignty. I thank my family (my side of the family) for being there for him, and Gustavo for being a true friend to us, and caring for him as one of us. Lastly, I’d like to thank Maria do ceu for being by his side until the end. She was his true friend, and companion.”
Così, laconicamente, su facebook, il figlio Marcelo, ha annunciato la morte di un artista immenso: quel Joao Gilberto che è stato l’alfa della Bossanova, il primo tra i grandi innovatori della musica brasiliana che negli anni ’60 diedero vita a quella straordinaria fusione di jazz, di musica minimalista americana e indigena. Per quelli che appartengono alla mia generazione – evidentemente non solo anagrafica – la Bossa sarebbe apparsa una rivoluzione, così come la voce calda di Joao e della sua “batida” (la maniera cioè di usare la mano destra sulle corde della chitarra): non lo era certo stata per l’italietta degli anni ’60 durante la sfortunata tournée di Joao in Italia, quando la Bossanova era ancora una musica… strana? incomprensibile? e perciò i suoi concerti passarono quasi immediatamente nel dimenticatoio. Quando poi ascoltai per la prima volta l’album “Getz/Gilberto” (molti anni dopo la sua uscita del 1963) capii che dietro quella musica respirava non solo un intero continente, ma una umanità malinconica e felice ad un tempo, ma di una felicità che poteva solo essere assaporata a strappi, per attimi eterni e perciò indicibile ed unica. Ecco: per me la Bossanova è questo. In quel disco Gilberto cantò in portoghese con la sua inconfondibile voce. Astrud Gilberto, la moglie che lo accompagnava come interprete, pur priva di esperienza, registrò “The Girl From Ipanema” e “Corcovado” contro il parere sia di João che Jobim. Probabilmente era stata la moglie di Stan Getz, Monica, a suggerire al marito di far cantare in inglese alla bella Astrud “The Girl From Ipanema”: sarebbe stato un successo planetario. Quando poi con alcuni amici ebbi anche la fortuna di sedere a chiacchierare con Bruno Martino (prima di un suo concerto) fu proprio lui a parlarci di quella straordinaria interpretazione di “Estate” che ne aveva fatto Joao. L’aveva presentata in una caldissima estate del 1983 al Circo Massimo di Roma durante una serie di concerti dedicati a Bahia, capitale del Samba e ai suoi musicisti. La chitarra e la voce nasale di Joao Gilberto hanno infatti incrociato i più grandi artisti diventando la summa della stessa musica brasiliana e se uno come Jobim, giustamente, lo aveva definito “la più grande stella del nostro firmamento, il miglior ambasciatore della bossanova nel mondo” non c’è più niente da aggiungere. In uno di quegli incroci che sono possibile solo nei vaneggiamenti – eravamo giovani, troppo giovani – mi indussi a credere (e lo credo ancora) che quella musica l’aveva certamente sentita dentro, ante litteram,Tomasi di Lampedusa mentre scriveva “Lighea”, solo pochi anni prima che proprio Joao Gilberto pubblicasse “Chega de saudade” il prima album in assoluto di Bossanova. Aveva ragione Caetano Veloso, il suo discepolo, quando in “Pra Ninguem” cantò che “e melhor do que o silêncio só João: “Meglio del silenzio è solo la voce di Joao…”
Addio, Joãozinho