Il fenomeno che più mi lascia impressionata e perplessa, in questo momento, è il tilt che la famosa foto del fermato bendato sta generando.
Mi riferisco, per chi in questi ultimi due giorni si sia trovato su di un volo intercontinentale di una compagnia straniera – molto straniera – senza accesso a internet e senza giornali, alla drammatica vicenda dell’omicidio di un carabiniere, a Roma, per mano di due balordi americani di cui uno, successivamente, sarebbe stato ammanettato e bendato, fotografato ed esposto alla pubblica gogna.
Evito generali considerazioni sul fatto che sì, nelle caserme accade. Accade anche di peggio, chiedere ai familiari di Stefano Cucchi, Luigi Uva, Federico Aldrovandi, Mario Scrocca e tanti altri. Accade di non uscire vivi, figuriamoci di prendere qualche schiaffo o di essere bendati. Eviterei anche la successiva considerazione che sì, di solito le foto non escono. Di solito ci vogliono anni di processi, intercettazioni, pentimenti. Di solito non si fotografano mentre esercitano violenza, di qualsiasi tipo, su di un cittadino in stato di fermo o di arresto.
Detto questo, è evidente che la reazione che questa foto dovrebbe provocare è quella di sdegno: sdegno verso chi ha legato l’uomo, sdegno verso chi lo ha bendato, sdegno verso chi lo ha fotografato e ha diffuso l’immagine. Sdegno perché è un’immagine che richiama paesi in cui tutto questo è all’ordine del giorno e che noi definiamo, spesso, Terzo Mondo. Sdegno perché non si fa, se non nei telefilm in cui torturano le spie. E a noi, solo alla parola tortura abbiamo un brivido che ci fa cadere dalla sedia e subito pensiamo a quella barbarie che è accaduta in Egitto anni fa ad un nostro connazionale, a quelle che raccontano quelli di Amnesty e pensiamo che no, non è possibile che nulla del genere avvenga in casa nostra, vicino casa nostra, tra gente che parla la stessa lingua.
Sdegnati per il fatto che un tossicodipendente ladro americano abbia accoltellato a freddo un carabiniere italiano di 35 anni disarmato lo siamo da quando ne abbiamo avuto notizia. Tutti. Lo sdegno per la foto è arrivato 24 ore dopo. Indignati al quadrato.
Che succede, però, se l’indignazione non arriva?
Se qualcuno, stupidamente, commenta che in effetti quel carabiniere non ci mancherà. Se qualcuno, barbaramente, commenta che non aveva neanche lo sguardo troppo sveglio.
Succede che ci indignamo della sua non indignazione. Perché la memoria, perché l’onore, perché il rispetto. Perché non si fa.
Fin qui un Paese a maggioranza pensante. Gente che soffre, che non accetta, che punta il dito, che condanna. Al di là delle posizioni politiche (per molti la parola chiave è carabiniere, per altri uomo, per alcuni marito) quello che è accaduto è terrificante ed irripetibile.
E allora, dove sta il tilt?
Il tilt arriva nel momento in cui la foto comincia a non suscitare sdegno ma – anzi – viene provocatoriamente eletta a metro di giudizio dello sdegno rispetto alla morte del carabiniere.
Incominciano timidamente a farsi sentire le prime voci sui social che suonano più o meno così:
“Certo, questo ammazza un carabiniere e voi vi impressionate di una benda sugli occhi.”
“Io ritengo più grave un omicidio, che una benda sugli occhi.”
Il malcontento sale magmatico, complici anche ingenui avventori che provano a far ragionare sul fatto che no, neanche uno che ha commesso delle stragi lo bendi o lo leghi. Ad un certo punto ci si mette anche Pietro Grasso a dire al Ministro dell’Interno (che tra una bandierina e una foto con un arrosticino trova il tempo per esprimere la sua vicinanza all’Arma che lega e benda la gente) che magari – magari – provare a smorzare gli animi piuttosto che aizzarli, in questo caso, sarebbe ragionevole e doveroso.
Niente, segue grande agitazione ed avanza imperterrito il partito della forca.
Pena di morte! Pena di morte!
Allora, grandissima pazienza, uno fa notare che nel nostro civile paese esiste il rispetto dei diritti umani, il garantismo, la presunzione d’innocenza, il favor rei.
Niente, quello l’ha detto che l’ha accoltellato quindi, corcatelo di botte. È così che si fa, vedi se la prossima volta ci ripensa.
Allora uno aggira l’ostacolo e prova ad usare come motivazioni a sostegno il fatto che l’effetto deterrente della pena non è necessariamente direttamente proporzionale alla durezza della stessa e che comunque ha a che fare con la pena, appunto, non con azioni spregiudicate prive di fondamento che si compiono prima dell’applicazione di una qualsiasi misura, in un momento procedurale, cioè, non idoneo a cagionare altri effetti se non quello di annullare qualsiasi cosa ci si sia detti dentro a quella stanza, fosse anche una totale ammissione di colpevolezza.
Sudati, col caldo e la pioggia insieme, proviamo, noi, esercito di persone normali che vengono additate come buoniste e benpensanti (guai a rivelarne la natura positiva, di queste supposte accuse) a citare Codice Penale, Convenzione di Ginevra, riforme, leggi, esempi anche semplici, visivi per far capire all’utente medio che – davvero – non si fa.
Esausti, quando stiamo quasi per mollare la presa, tra gli occhi che si chiudono e le spalle che si incurvano, vediamo una luce lontana, fioca, venirci in aiuto.
La Costituzione! Eh sì. Costituzione, Patria, Onore. Parole magiche. SI volteranno sicuramente e capiranno che se lo dice la Costituzione allora. Ci ha giurato sopra anche lui, il Capitano. E quel Carabiniere, poveraccio, ci avrà giurato sopra a sua volta. Difendono la Patria, onore a loro. La Costituzione è la risposta.
Anche secondo la Costituzione non si fa, quella cosa di bendare la gente durante gli interrogatori. E pure la pena di morte, secondo sempre la Costituzione, qui non si può proprio pensare.
Questo perché era un periodaccio quello prima della Costituzione, no, niente, lasciamo stare. La Costituzione.
E allora pensiamo, è fatta. Con la Costituzione si convincono.
E invece no.
“La Costituzione andrebbe bruciata.”
“È una merda la Costituzione”.
Ma come? E quella bandierina che mettete sui profili delle vostre pagine? E l’onore e la PATRIA?
E niente, blaterano di democrazia che non esiste (Democrazia)inneggiano (di nuovo) alla pena di morte, scrivono di seguito radical chic, sbarchi, porti e mettono una valanga di emoticon di mani e pugni e cuori e spariscono, a largo delle loro idee confuse, lasciando dietro di sé una scia poco profonda. Ogni tanto sembrano avere un piccolo spasmo, un tilt, appunto.
Probabilmente stanno ripensando alla Costituzione, ma non hanno capito bene la connessione con tutto il resto.
E a noi non resta da fare altro che andare via, sconsolati, da quelle tavolate virtuali in cui avremmo voluto conversare, confrontarci, parlare, esporre, raccontare e invece siamo stati costretti – di nuovo – a stupirci e a provare a spiegare qualcosa di talmente elementare da sembrare superfluo.
E nonostante questo non siamo stati capiti, nemmeno noi.
Lasciamo il campo mestamente, disillusi, amareggiati.
Loro stanno sicuramente meglio, tra i loro punti esclamativi e le loro foto con le frasi scritte in grande.
Quasi, quasi provo a fotografarla, la Costituzione, e ci metto accanto delle foto di barche in mezzo al mare e di pistole, così, senza senso.
Magari qualche pezzettino ne leggono. Magari.